La dittatura dei corpi perfetti. Donne schiave dei media?

di Alessandra Campanari

Diceva Anna Magnani al truccatore che prima del ciak stava per coprirle le rughe del volto: “lasciamele tutte, non me ne togliere nemmeno una, ci ho messo una vita a farmele”. (Alessandra Campanari)

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Io non ci sto alla dittatura televisiva dell’avvenenza, che mi fa esistere solo se bella o appetibile, barattando il mio pensiero in nome di una magra visibilità. Io non ci sto ad essere solo corpo. Da guardare, da toccare, da giudicare, da mercificare. Io non ci sto poiché conosco cosa genera l’offerta della mia carne sugli sguardi inconsapevoli. Io non ci sto e pretendo rispetto e che si dia spazio a tutte le mie diversità. La mia rivoluzione comincia con il rifiuto dell’immaginario imposto per mutare nel respiro di una nuova dignità. (G.V.). 

L’Italia è una nazione in cui ancora oggi, nonostante le lotte femministe del passato, nonostante una maggiore presa di coscienza da parte della società, essere donne, madri, lavoratrici, avere una laurea e riuscire a conciliare il tutto è davvero molto difficile. Sono altissime le percentuali di donne-madri che non riescono a mantenere il proprio posto di lavoro dopo la gravidanza, ed è altrettanto vero che, a parità di lavoro, le donne percentualmente guadagnano meno dei colleghi o ricoprono spesso posizioni lavorative non sempre consoni alla loro formazione e preparazione. Ecco allora che per molte ragazze sembra molto più affascinante e facile da raggiungere il mondo patinato delle riviste e soprattutto della tv, non importa poi con quali strumenti, quali compromessi e a quale prezzo.

Oggi i palinsesti televisivi, dalla pubblicità al telegiornale, ci presentano un modello di donna che punta tutto sull’apparire e sulla perfezione, per la quale la chirurgia estetica è un obbligo dopo i 30 anni. Ormai siamo completamente assuefatti a questo genere d’immagini e a questa mentalità che gli schemi mediatici sono diventati prototipi cui identificarsi. Basta una breve panoramica della televisione italiana per rendersi conto che la donna, che appare sul piccolo schermo, non è nulla di più di uno strumento sessuale, umiliata e degradata, privata della propria identità, della propria personalità.

D’altra parte lo stesso mondo femminile ha introiettato il modello maschile così profondamente e così a lungo da riuscire a guardare le altre donne solo con occhi maschili. Oggi le donne che hanno raggiunto fama e potere in tv sembrano, infatti, gareggiare al livello estetico con le più giovani e le poche immagini non artefatte di donne adulte sono feroci perché non possono che utilizzare l’aggressività laddove il confronto estetico è impari. La stessa pubblicità utilizza immagini con riferimenti sessuali appetibili per i maschi per attrarre però un pubblico femminile. 

La televisione e i modelli pubblicitari sono diventati lo specchio delle nostre paure. Come dichiara Lorella Zanardo nel suo documentario “Il corpo delle donne”, la tv oggi ruba, deturpa, limita il paesaggio della coscienza di tutti. Quello che giornalmente ci propone sono volti ricondotti a maschere della chirurgia estetica, un circo perenne che ci rimanda ad un’idea di donna contraffatta, irreale. Il sistema sociale ha stabilito che le donne emancipate devono proporsi dichiaratamente come oggetto di desiderio anche quando vengono interpellate per la loro professionalità, anche quando sullo schermo ci sono donne mature, preparate, e con qualcosa da dire. Queste immagini balzano dalla tv ed entrano nelle nostre case, minano la nostra identità. E allora, quello che vediamo, al fine, è solo un numero infinito di donne umiliate; ragazze conduttrici senza esperienza messe lì per la loro avvenenza e che contribuiscono a dare l’idea della superficialità delle donne.

Pier Paolo Pasolini aveva capito che la tv stava per distruggere la poetica del volto umano, dell’individualità e, oserei dire, della dignità e non solo quella femminile. Oggi l’autenticità del corpo è stata spiazzata da facce truccate e lifting permanenti. Corpi sempre più telegenici, perché più in grado di garantire un prodotto di perfezione eterna.

Come siamo giunti a tutto ciò? Dobbiamo veramente avere vergogna di mostrare la nostra faccia, le nostre rughe? La società ci ha insegnato a provare vergogna di ciò che siamo; ci ha educati a degli standard di bellezza che non sono reali e che minano continuamente la nostra autostima e la nostra vulnerabilità. Diceva Anna Magnani al truccatore che prima del ciak stava per coprirle le rughe del volto: “lasciamele tutte, non me ne togliere nemmeno una, ci ho messo una vita a farmele”.

Come appare allora la donna nella tv moderna? Quale immagine dell’universo femminile prevale nella pubblicità? Quali Paesi europei sono più attenti a una corretta rappresentazione della donna sui media? Com’è cambiato negli ultimi decenni il ruolo delle donne nel mondo dello spettacolo? Quanto l’esplosione dei reality show, la diffusione delle serie televisive americane, la frantumazione del consumo audiovisivo e l’emergere di nuove forme d’intrattenimento hanno contribuito a far ricoprire alla donna un ruolo sempre più di quantità e raramente di qualità? Queste, e molte altre, sono le domande che nascono spontanee da una semplice analisi sociale del sistema mediatico in cui la donna è ridotta sempre più a mero oggetto sessuale, merce di scambio, incartata in un involucro plastificato, il suo corpo, che non le appartiene più.

Scrive il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti: “Se questo è il nuovo modello di perfezione che ci siamo creati, allora il lifting facciamolo non alla nostra faccia ma alle nostre idee e scopriremo che tante idee che in noi sono maturate guardando ogni giorno in tv lo spettacolo della bellezza, della giovinezza della sessualità e della perfezione corporea, in realtà servono per nascondere a noi stessi, e agli altri, la qualità della nostra personalità, cui magari per tutta la vita non abbiamo prestato la minima attenzione perché, sin da quando siamo nati, ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere, con il risultato di rischiare di morire sconosciuti a noi stessi e agli altri”.

(foto: vanityfair.it)