"Resistenza" nella terra dei casalesi. La testimonianza di Renato Natale

di Ornella Esposito

Da anni a Casal di Principe l’associazione Jerry Masslo è impegnata nell’assistenza alle persone immigrate e nella lotta per la legalità, un coraggioso esempio di resistenza e speranza, rappresentato dal suo presidente, Renato Natale, minacciato di morte due mesi fa. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare la sua storia ed, ovviamente, quella della sua associazione. (Ornella Esposito)

Renato-Natale-300x225 Resistete, resistere, resistere, l’appello lanciato anni fa da Francesco Saverio Borrelli e diventato ormai uno slogan, l’Associazione di Volontariato “Jerry Masslo”, nella terra di “Sandokan” e di “Gomorra”, l’ha tradotto in una realtà concreta e non da ora, ma da vent’anni a questa parte come ci racconta Renato Natale, suo fondatore e presidente, che di Casal di Principe ne è stato anche primo cittadino nel periodo in cui fu ammazzato Don Peppe Diana e che, due mesi fa, è stato minacciato di morte.

Incontro Renato Natale in un caffè, i suoi modi cordiali e gli occhi fieri catturano la mia attenzione e subito mi spingono a chiedergli com’è nata l’associazione Jerry Masslo; mi spiega, senza fretta, che è nata nel 1989 in seguito all’uccisione, nel tentativo di rapinarlo, del sudafricano Jerry Masslo per mano di due balordi di Villa Literno. Da allora, con l’apporto di molti volontari medici e non solo, l’associazione si è occupata di tutelare il diritto alla salute dei migranti clandestini, collaborando con le organizzazioni del territorio, le istituzioni e le parrocchie. La presenza dell’associazione è diventata sempre più importante e, pian piano, ha ampliato i propri ambiti di intervento occupandosi di tossicodipendenza e vittime della tratta; nel 95’ ha aderito a Libera schierandosi in prima linea nella lotta alle mafie. Chiedo al mio interlocutore, se il passaggio dall’immigrazione alla battaglia in favore della legalità sia stato automatico per le connessioni che vi sono tra le due tematiche. Mi risponde, come fosse la cosa più normale del mondo, che l’associazione si doveva occupare per forza di legalità perché il territorio lo richiedeva.

La criminalità, eccoci al punto. Con i processi ai casalesi, gli arresti eclatanti, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, chiedo se è cambiato qualcosa rispetto al passato nella terra, emblema delle mafie. Qualcosa è cambiato, mi risponde con una voce che lascia intuire la fatica del cambiamento, ma la repressione non basta; in un momento di grande crisi economica, dove tanti hanno perso il lavoro, c’è bisogno di un intervento dello Stato sul fronte dell’economia, altrimenti la gente penserà che era meglio quando c’erano i clan. Rieccoci al punto, e all’intreccio malavita-economia. La domanda su cosa ne pensa del libro di Saviano diventa d’obbligo. Gomorra, mi spiega, ha dato risalto al nostro lavoro di anni sul territorio, anche se il vero punto di rottura non è stato il libro, bensì, l’aver fatto i nomi e cognomi di alcuni casalesi in una pubblica piazza e averli chiamati “camorristi”. E’ questo che ha cambiato tutto secondo il mio interlocutore, e messo in pericolo la vita di Roberto Saviano. Lo stesso ardire a viso scoperto contro la camorra lo ha avuto Renato Natale del quale, nel 96’ quando era sindaco, la camorra aveva decretato la morte, scampata solo per una serie di coincidenze fortuite.

Nel mese di Maggio di questo anno, la camorra si è rifatta viva ed ha recapitato a Renato Natale una lettera in cui minacciava lui e la sua famiglia di morte. Gli chiedo come mai, e lui mi racconta un fatto accaduto di recente: il Comune di Castel Volturno ha chiesto indietro le chiavi di un bene confiscato alla camorra e dato in gestione all’associazione Jerry Masslo, la quale si è rifiutata di consegnare le chiavi. Le stesse richieste sono state avanzate anche da comuni limitrofi verso le altre associazioni assegnatarie di beni confiscati. Un’epidemia, sembrerebbe, abbia colpito i comuni domitiani, un virus che ha tutto il sapore di un avvertimento, cui però il territorio casalese, insieme ai sindacati e alle organizzazioni no profit prima fra tutte Libera, ha risposto compatto e massiccio scendendo in piazza, perché le minacce all’ex sindaco sono diventate offesa alla società civile, a quanti coraggiosamente resistono alle piccole camorre quotidiane. Qualcosa è veramente cambiato.

Continuiamo a parlare di molte cose, dei tanti progetti che porta avanti l’associazione e della paura della morte, mentre un gruppo di giovani accanato a noi schiamazza allegramente, dandoci evidenti segnali di vita. Chiedo a Renato Natale di sfatare qualche luogo comune su Casal di Principe, e di raccontarmi una storia in cui la legalità ha avuto ragione sulla camorra. Lui non esita nemmeno un attimo e mi racconta questa storia: nel 95’ un editto della camorra stabilisce che tutti i migranti devono lasciare Casal di Principe, pertanto, iniziano a prepararsi i bagagli pronti ad andare via. L’Associazione, insieme alla parrocchia, organizza una festa di commiato per gli “sfrattati” durante la quale gli stessi ringraziano la città per l’accoglienza e l’ospitalità. Nel corso della festa, una bambina ghanese di quattro anni legge una lettera nella quale chiede di conoscere il motivo per cui deve lasciare la terra dove è nata e vive. A questo punto Renato Natale prende la parola e dice alla bambina di poterla ospitare, insieme alla sua famiglia, a casa sua; dopo di lui altri si rendono disponibili all’ospitalità, compreso il parroco. I migranti non vanno più via, l’editto della camorra è bloccato e colui che lo aveva emanato è stato denunciato e successivamente arrestato.

E’ una bella storia di resistenza, soprattutto perché a resistere è stata un’intera comunità. Ed è proprio a Casal di Principe, mi anticipa Renato Natale, che nascerà il Museo della Resistenza perché l’idea che ci si fa di questa cittadina è che la camorra arriva senza alcuna resistenza mentre invece, dagli anni 70’ ad oggi, la resistenza c’è stata e a testimoniarla sono i morti ammazzati come Don Peppe Diana, il vice sindaco di Casapesenna, l’imprenditore Libero Pietro, il giovane carabiniere Nuvoletta e tanti altri. Ci salutiamo, dandoci appuntamento all’inaugurazione del museo, mentre i ragazzi accanto a noi hanno finito di schiamazzare e ridendo sono andati via.