L'Italia vista da un africano: l’esperienza di Moussa

di Sara Pulvirenti

Moussa, carnagione nerissima, in assoluto contrasto con i suoi meravigliosi denti bianchi, è un ragazzo senegalese di 38 anni che dal 2001 vive e lavora in Italia. Ci conosciamo durante le mie vacanze estive, in un villaggio lombardo dove lui fa il capo animatore. Approfittando di un pomeriggio piovoso, abbiamo pensato a questa intervista. (Sara Pulvirenti) 

moussa_ed_io Qual è stato il motivo che ti ha spinto a venire in Italia?
Moussa. In realtà non sono venuto subito in Italia, prima sono stato per un anno in Francia, a Le Mans. Il motivo principale che ha spinto i miei genitori a mandarmi all’estero era quello di offrirmi la possibilità di studiare. Sono il primo maschio della famiglia su ben 27 tra fratelli e sorelle e per questo sono stato l’unico a fare questa esperienza. Mio papà, infatti, è poligamo e da noi essere il primo figlio maschio ha un peso molto importante (mia mamma, che è la prima moglie, ha 18 figli). In Francia sono stato per un anno, poi però dei problemi economici mi hanno impedito di continuare e mi hanno costretto a trasferirmi da alcuni parenti a Pescara. Grazie ad una sanatoria (per la compilazione dei documenti, davvero difficile, mi sono appoggiato ad uno sportello della CGIL dedicato agli immigrati, altrimenti non so sei ci sarei riuscito!) ho potuto trasformare la mia carta di studio in un regolare permesso di soggiorno e da allora sono rimasto in Italia.

 

Poi è arrivata l'esperienza lavorativa da animatore…era quello che ti aspettavi?
No, non ci avevo mai pensato. Tutto è partito proprio da Pescara: infatti quell’anno ho lavorato per circa tre mesi nei villaggi turistici come maestro di ballo, con l’idea di potere mettere da parte dei soldi per proseguire gli studi. Invece poi, prima della fine della stagione estiva, mi è stato offerto un mini contratto come istruttore di hip-hop in una palestra. E qui devo dire che ho commesso il più grande errore della mia vita: invece di tornare a studiare come avevo deciso, ho continuato a lavorare mettendo da parte l’idea di diventare interprete. D’inverno lavoravo nelle palestre e d’estate nei villaggi. Di sicuro a livello economico ora sono più tranquillo ma il mio desiderio è di riprendere gli studi.

Cosa ti ha dato questo lavoro?
All’inizio è stato un modo semplice per fare soldi, ben presto però si è rilevato il modo più agevole per integrarmi a pieno in Italia. Infatti, lavorando come animatore, prima ho potuto imparare bene la lingua, poi comprendere da vicino le abitudini ed i modi di fare degli italiani. Sono stato davvero fortunato a potere vivere questa esperienza!

Pensi che farà parte del tuo futuro?
No, voglio altro. Sto già attivandomi per diventare Operatore Socio Sanitario. La mia carriera di animatore infatti, realisticamente, non prevede grandi sbocchi: ero partito da responsabile diurno ed ora sono capo villaggio. Potrei diventare direttore della struttura ma davvero sto cercando altro. L’idea infatti è quella di imparare un mestiere che possa essere utile al mio villaggio in Africa. Il mio sogno oggi è di tornare a casa e sfruttare operativamente la mia preparazione: ora, ogni volta che torno a casa, porto delle medicine e mia madre è entusiasta. Ma questo che faccio è una goccia nel deserto, non può bastare: in Africa si muore anche per dissenteria ed io non posso non fare nulla. In Senegal l’idea di diventare dottore o infermiere è davvero diffusa: la sanità è infatti il problema più grande ed urgente che colpisce tutta la popolazione. Da noi non si può parlare di mala sanità, non esiste proprio la sanità. La situazione è davvero tragica.

Immagino che vivere in Africa non sia la stessa cosa che vivere in Italia: cosa ti manca di più e cosa hai imparato ad apprezzare in Italia?
In Italia mi è piaciuta la mentalità del lavoro. Mi spiego, ho frequentato diverse società che si occupano di animazione: i ritmi sono veloci e nessuno è disposto a perdere tempo. Dell’Africa mi mancano tantissimo gli affetti: mia mamma, le mie sorelle, mio padre, i miei fratelli. Chiamo ogni due giorni ma, nonostante questo, quando attacco il telefono ho una malinconia… mi viene un nodo alla gola tanto da non riuscire a parlare! Tutti i miei affetti sono in Africa. Qui in Italia ho avuto dei rapporti sentimentali importanti: sono stato fidanzato per cinque anni con una ragazza italiana che onestamente ancora oggi faccio fatica a dimenticare. Ho anche instaurato delle vere amicizie tramite il lavoro, ma il mio cuore è altrove.

Moussa, tu sei musulmano... qui in Italia hai mai trovato difficoltà a professare la tua fede?
Molti dicono che in Italia mancano le moschee ma in realtà almeno nelle grandi città il problema non esiste. Quella di Roma, ad esempio, è la più grande d’Europa. Poi per un musulmano la moschea non è “obbligatoria”: la preghiera può essere fatta tranquillamente a casa. Certo, dove la concentrazione di musulmani è alta, forse avere una moschea aiuta l’integrazione. Sai, Sara, la religione islamica e quella cattolica hanno molti punti in comune: ad esempio i fedeli di entrambe credono sia nella Madonna che in Gesù Cristo, solo che per noi è stato un profeta. Un altro esempio, il vecchio testamento ed il Corano sono molto simili. A riprova di questo, sai cosa significa il mio nome? Moussà è in arabo l’equivalente del vostro Mosè. Semplificando, potremmo dire che i Cristiani si sono fermati a Gesù, noi Musulmani invece abbiamo accolto gli insegnamenti di Maometto, arrivato ben 600 anni dopo Cristo.

Spesso se si parla di Islam, viene in mente la tematica della condizione della donna. Cosa puoi dirci a riguardo?
In realtà per i musulmani le donne vanno rispettate e protette. Devono avere la figura della Madonna, indossando un solo velo che copra i capelli ed il petto. Il burka è condannato e quelle persone che obbligano le donne ad indossarlo sono rapinatori, perché solo i rapinatori vanno in banca e si mettono i passamontagna. Te lo dico ad alta voce: l’Islam non predica questo!

Raccontaci un episodio che fa riferimento ai tuoi primi giorni in Italia.
La prima cosa che mi ha colpito in Italia sono state le strade giganti, quelle a quattro corsie, i treni veloci, le automobili, i grattacieli. E poi la gente che non si ferma. Da noi in Africa invece salutiamo tutti, anche chi non conosciamo. Arrivato in Italia, mi sono accorto che le persone neanche si guardano in faccia. Però questo non succede ovunque. Sempre come animatore, ho lavorato per una stagione estiva ad Ustica: durante una gita in autobus, l’autista fermò il pullman per salutare suo cugino. Lì mi sono sentito un po’ in Africa, ma nel mio villaggio la situazione è ancora più “estrema” (ride).

Ed invece parlaci un po’ dell’Africa.
Ogni paese dell’Africa ha una capitale che è una metropoli, al massimo due città che provano a tenere il passo della capitale e poi tutto il resto è miseria totale. Ampi terreni tanto grandi che se fai un viaggio da una città all’altra incontri solo deserto, alberi… il tempo non passa mai. I viaggi sono interminabili!

Resterai in Italia? E cosa pensi degli italiani?
No, come ti dicevo prima, il mio sogno è quello di tornare a casa. Comunque devo dire che gli Italiani mi hanno dato più soddisfazioni che dispiaceri. Anche se, a volte, mi è capitato di subire offese e discriminazioni. Ma le persone sono stupide ovunque. Ti faccio un esempio: noi animatori di solito mangiamo insieme agli ospiti dei villaggi, ruotando di giorno in giorno tra i tavoli. Bè, una volta sono arrivato ad un tavolo con il mio piatto, chiedendo se potevo sedermi, il papà di una famiglia mi ha guardato e mi ha detto “No, non ti vogliamo”. Il giorno dopo però una bimba di 6 anni invece mi ha invitato a mangiare. Capito cosa intendo?

moussa_2-1L’Italia, prima di arrivare, te la immaginavi così?
No, devo essere sincero. Ho avuto una piccola delusione. Ma sai, quando si sta in Africa si immagina l’Europa grazie ai film… ma la realtà vera dei posti si conosce solo vivendola davvero. Arrivato in Italia ho subito capito che per guadagnarsi da vivere bisogna correre più del leone, anche qua (ride).

Quest'estate hai avuto il compito di mediare tra un gruppo di circa 100 immigrati e gruppi di turisti... cosa hai imparato?
Il gruppo è composto da 100 ragazzi che sono scappati dalla Libia, perché non potevano rimanere per la miseria e le bombe. Alcuni si sono infiltrati approfittando della situazione. Ma ti assicuro che si vede la differenza. Averli relegati in alta montagna, senza praticamente la possibilità di interagire con nessuno, non è stata una bella scelta. L’Italia non ha fatto bella figura: ha preferito un posto isolato solo per evitare che “disturbassero” e si facessero vedere. Nonostante siano scappati dal loro paese per cercare un mondo migliore, quassù non impareranno nulla, nè la lingua né tantomeno capiranno la vita e le abitudini degli italiani. Anche per questo prevedo che la situazione si farà sempre più complicata.

Cosa pensi, invece, degli italiani che vanno in Africa per dare una mano?
Ne sono molto felice: come beneficienza ho sempre preferito chi viene in Africa. Se, ad esempio, penso ai tanti ragazzi italiani che decidono di dedicare le loro estati a noi africani, sono davvero soddisfatto: infatti, loro quando scendono non lo fanno per interesse, non portano soldi ma solo intelligenza. Insegnano ai loro coetanei africani ad usare il cervello, partendo dalle piccole cose, dai giochi, dal sapere tagliare, cucire, disegnare, etc. Solo in questo modo i bambini crescono imparando davvero a fare qualcosa e soprattutto hanno la possibilità di diventare indipendenti.

A proposito di infanzia, tu che bambino eri?
Io ho avuto la fortuna di andare a scuola, questo ha cambiato tutto e mi ha offerto tante possibilità che altri bambini normalmente non hanno. In Africa se non si va a scuola non c’è nulla da fare se non zappare la terra, preparando la stagione delle piogge o cercare la legna secca per cucinare.

Infine, pensa a tre termini per descrivere l'Africa.
Se penso all’Africa la prima cosa che mi viene in mente è la politica: è davvero pessima! Ci sono paesi che formalmente si definiscono democratici ma nei fatti lo sono solo sulla carta. Il potere viene tramandato da padre in figlio e la popolazione in questo non ha alcun ruolo. Soldi che potrebbero essere spesi per migliorare le condizioni di vita della gente, vengono utilizzati per acquistare le armi!

La seconda cosa è sicuramente il calore della gente: le persone sono profonde e sensibili e purtroppo aspettano di essere aiutate, nel vero senso della parola. Ma non con l’invio di giocattoli, cibo o indumenti: a loro serve qualcuno che gli insegni a fare un lavoro. Infine la mia mente torna a quando mi svegliavo la mattina presto, mi mettevo un vestito leggero e mi alzavo, camminando a piedi nudi sulla spiaggia. Quanto mi manca!

Ed ora altri tre per l'Italia.
Dell’Italia invece penso che sia un paese che ha vissuto sia il fenomeno dell’immigrazione che dell’emigrazione e che dopo la guerra si è rimboccato le maniche arrivando dove è ora. Per questo l’ho sempre visto con ammirazione. Però, onestamente devo dire che, anni fa era un paese molto più paziente ed accogliente di ora: forse il cambiamento è dovuto alla crisi ed alla tentazione di trovare un colpevole… quale migliore capo espiatorio di un immigrato? Purtroppo però questa cosa, per alcuni versi naturale, non dovrebbe accadere. E’ sicuramente un paese di grandi lavoratori con la mentalità di risparmiare ed è proprio per questo motivo che supererà la crisi meglio di altri paesi.

L’altra cosa, più semplice che mi viene in mente se penso all’Italia, sono sicuramente le bellissime montagne dove ho lavorato: da noi in Senegal abbiamo il mare ma non delle catene montuose come le Alpi che ti permettono di fare lunghe passeggiate immersi nel verde. A questo proposito, è proprio il verde il colore che manca in Africa (piove solo due mesi all’anno), abbiamo però tanto giallo, il colore del sole.{jcomments on}