Germania della vergogna. Una campagna elettorale che fomenta l'intolleranza

di Chiara Matteazzi

Ha fatto discutere ma non troppo, o meglio non come dovrebbe, la natura dei manifesti della campagna elettorale del partito di estrema destra tedesco Nationaldemokratische Deutschlands (Ndp).  (Chiara Matteazzi)

gasgeben “Dare gas!”, recita uno dei manifesti che vede in primo piano il leader del partito Udo Voigt, con aria raggiante, in sella ad una moto. Una frase che più che un doppio senso sembra una chiara e voluta allusione alle atrocità dell’Olocausto. O ancora, “Buon volo a casa!” si legge in un altro manifesto, che nello sfondo vede raffigurati tre immigrati su un tappeto volante.

Ma nonostante la chiarezza del messaggio politico e l’innegabile la provocazione contenuta al suo interno, la corte amministrativa di Berlino ha respinto il ricorso presentato per bloccare l’affissione di questi manifesti, in quanto essi non rappresenterebbero un incitamento al razzismo. Ah no? Il punto è che ora questi manifesti si trovano affissi nelle città, negli spazi pubblici, sotto gli occhi più o meno consapevoli di ciascun cittadino tedesco.

Di fronte a episodi di questo tipo, viene da chiedersi perché la storia sembri non insegnare mai nulla. Come mai essa diventi col passare del tempo libro, reportage, racconto senza però che passi veramente dentro e attraverso di noi, senza riuscire a diventare parte della nostra persona trasformandosi in spia d’allarme pronta a suonare all’impazzata quando serva.

Forse è il periodo storico che stiamo attraversando che ci impedisce di essere lucidi, tanto gli eventi e le problematiche ci sovrastano al punto tale da cercare ogni modo possibile per liberarcene, come se non esistessero. Guardiamo agli eventi come a dei piccoli frammenti isolati, sconnessi tra loro, riducendone la portata e l’importanza. Ma la verità è che essi non sono che i tasselli di un unico grande puzzle, ogni singolo evento è legato a filo doppio con gli altri. 

Quello che è successo in Germania è spiegabile solo all’interno di un contesto molto più ampio, europeo e internazionale.

Solo pochi giorni fa, il 7 settembre, il Commissario per i diritti umani Thomas Hammarberg ha espresso la sua preoccupazione per i discorsi politici razzisti e xenofobi contro rom e sinti nel nostro Paese, consigliando di contrastare questi fenomeni con “l’ausilio di misure efficaci, in particolare attraverso iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici, e tramite la vigorosa applicazione delle disposizioni penali contro i reati di matrice razzista” e di “porre l’accento non sui provvedimenti coercitivi, come le espulsioni e gli sgomberi forzati, ma piuttosto sull’integrazione sociale e la lotta contro la discriminazione e l’antizingarismo”.

Diverso il caso, dunque, ma medesima la questione. L’Europa in generale sta attraversando un momento buio sotto questo fronte, e la paura, strumentalizzata ad arte, sta generando dei mostri.

Permettere a questi mostri di agire indisturbati è l’errore peggiore che si possa fare. In questo momento, in Germania, chissà quante persone stanno aspettando l’autobus, o passeggiando per strada, imbattendosi in manifesti di matrice razzista. Oggi si stupiranno, si indigneranno magari, ma domani, chissà, non ci faranno più caso. Si abitueranno. Ecco che allora il piano potrà dirsi compiuto. Ancora una volta. In attesa nella mossa successiva.