Il valore legale della laurea: un’abolizione imminente?

di Lorenzo Quilici

In queste settimane si è acceso un dibattito intorno alla necessità o meno di abolire il valore legale della laurea che, come noto, permette di accedere alla pubblica amministrazione e alle professioni il cui ingresso è regolato appunto dal requisito della laurea. (Lorenzo Quilici)

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Il governo ha lanciato a fine gennaio l’idea di mettere fine al valore legale della laurea: ciò significherebbe che ciascuna laurea avrebbe un peso diverso, dipendente dall’ateneo dove essa è stata conseguita e dovuto alla valutazione dell’Agenzia per la valutazione delle università.

 

Al giorno d’oggi, infatti, laurearsi in una università scadente o in una prestigiosa università equivale per lo Stato. Nell’ultimo ventennio sono state istituite molte università non di primissimo livello, spesso in centri periferici, con una didattica scarsa, prive o quasi della possibilità di scambi internazionali o di specializzazioni post-lauream.

Le associazioni studentesche hanno chiesto a gran voce all’esecutivo di essere rese partecipi delle scelte che verranno fatte, ribadendo, anche attraverso rumorose manifestazioni, la loro netta contrarietà al progetto del governo, poiché ritengono che esso danneggerebbe le università pubbliche, specialmente quelle meridionali e aumenterebbe le disuguaglianze tra studenti il cui reddito familiare può permettere loro di frequentare università private prestigiose e coloro che frequentano, anche per motivi economici, università pubbliche di livello, a volte, meno buono.

L’abolizione del valore legale della laurea, comunque, permetterebbe la nascita di una sana competizione tra le università che consentirebbe il miglioramento dell’offerta formativa, facendo sì che il mercato svolga la funzione di regolare il valore della laurea stessa.