Alternanza Scuola-Lavoro: occasione di crescita professionale o opportunità mancata?

di Giuseppe Meccariello

A due anni dall’adozione della Legge della Buona scuola, permangono le perplessità sulla reale utilità dello strumento di didattica alternativa e complementare al percorso scolastico

Alternanza Scuola Lavoro

Con l’approvazione della Legge 107 del 2015, nota anche come “Legge della Buona Scuola”, centinaia di studenti del triennio delle scuole superiori italiane hanno iniziato la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, della durata di 200 ore nei licei e 400 negli istituti tecnici e professionali. Tale progetto dà ai giovani la possibilità di toccare “con mano” il mondo del lavoro, svolgendo attività professionali presso le aziende, gli enti culturali e le associazioni di volontariato che aderiscono all’iniziativa. Si tratta, dunque, di un’esperienza innovativa e formativa per gli studenti, i quali potranno ottenere anche competenze pratiche, oltre alle conoscenze acquisite durante le ore passate a scuola. O forse no.

Ispirato al modello tedesco, il percorso di alternanza è stato presentato come un’opportunità per i giovani di “inserirsi in contesti lavorativi, adatti a stimolare la propria creatività”. Eppure sono i giovani a muovere le critiche più aspre e negative.

Secondo una statistica pubblicata dalla Rete degli Studenti medi, durante l’anno scolastico 2016/2017 più del 30% degli studenti ha dichiarato di aver vissuto un’esperienza negativa, e il 24% non si è dichiarato completamente soddisfatto. Numerose e continue sono state le manifestazioni studentesche di protesta contro la misura in questione. Ci si chiede, perciò, come possa una legge dalle premesse tanto positive, provocare un così evidente turbamento nei giovani.

Dai tanti articoli pubblicati sull’argomento, si evince che molti studenti hanno segnalato la mancanza dello stimolo alla crescita professionale. Uno stimolo assente, probabilmente, perché una parte consistente dei giovani che hanno intrapreso tale percorso si trovano a svolgere attività di volantinaggio, servizio clienti o sanificazione bagni presso note catene di fast food internazionali. Mansioni non sempre adeguate ad integrare e completare il percorso didattico di uno studente.

La legge prevede che agli studenti sia affidato un tutor interno, che ha il compito di avviare il giovane alla professione e di formarlo. Tuttavia il tutor è principalmente un impiegato dell’ente e non senza difficoltà dovrà, allo stesso tempo, seguire gli studenti e continuare a svolgere le proprie mansioni.

Immaginare che le aziende dedichino una figura professionale esclusivamente alla formazione dei tirocinanti è talmente gravoso da essere poco verosimile. Per alleviare gli oneri dell’accoglienza, tra il 2017 e il 2018, le CCIAA di molti comuni italiani hanno pubblicato Bandi per i contributi alle Piccole e Medie Imprese interessate. Il valore dei voucher, versati singolarmente per ogni studente ospitato, si aggira tra i 400 e i 600 euro. Resta da verificare la loro idoneità a ridurre sufficientemente un tale peso economico.

Per quanto riguarda il problema della mancanza di stimolo professionale, il rimedio potrebbe consistere nella concessione di uno spazio maggiore alle convenzioni stipulate con gli enti operanti nel settore pubblico, come le associazioni no profit e del Terzo Settore, o le Amministrazioni comunali e regionali; istituzioni che non fanno del guadagno il loro principale obiettivo, e quindi potrebbero rivelarsi più adatte delle aziende private. La realizzazione di questo obiettivo dipende dalla sinergia tra Ministeri, Comuni ed Enti pubblici, che deve necessariamente essere rafforzata.

Il protocollo d’intesa firmato recentemente da Ministero del Lavoro, MIUR e Ministero della Difesa, sembra confermare quanto detto sopra: agli studenti è stata, infatti, concessa la possibilità di essere assunti presso strutture ed enti specializzati nella manutenzione dei mezzi militari.

In questo momento, non è ancora possibile determinare se quella intrapresa dalle istituzioni sia davvero la strada giusta, o se la misura adottata risulterà essere soltanto un fuoco fatuo. Naturalmente ci auguriamo che il protocollo d’intesa sia solo il primo di una lunga serie di provvedimenti “positivi”. L’obiettivo dell’alternanza scuola-lavoro, ricordiamo, è rafforzare le competenze dei giovani per favorirne l’ingresso nel mondo del lavoro, e per questo sarebbe imperdonabile renderla una fonte di ulteriori incertezze e frustrazioni.