Roma-Napoli. Ferlaino: la trasferta non doveva essere concessa

di Anna Laudati

Tra imbarbarimento della tifoseria napoletana ed eventuali responsabilità nella gestione dell’avvenimento a pagarne le conseguenze sono “i napoletani normali” giovani e meno giovani,  che seguono il calcio in modo sano  (di Francesco Enrico Gentile)

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ultras_corriere_dello_sport.jpgUn treno devastato, passeggeri paganti costretti con la violenza ad abbandonare il proprio posto, bambini spaventati e disagi per due intere città: questo il bilancio della prima trasferta dei tifosi napoletani. La stazione centrale di Napoli domenica 31 agosto assomiglia ad un campo di battaglia abbandonato di recente, dopo che eserciti differenti vi si sono contrapposti.

 

E invece no. Semplicemente qualche migliaio di scalmanati ha celebrato la propria giornata di “gloria”; al grido di “tutti a Roma” gli ultras napoletani hanno prodotto danni per 500.000 euro, provocato diversi contusi tra gli stessi supporter e le forze dell’ordine, costretto decine di poliziotti dei reparti mobili a sorvegliarli, distogliendo forze ed energie da compiti ben più urgenti e delicati. Il tutto per una partita di calcio, in nome di un atavico odio che interporrebbe tra la tifoseria romanista e quella napoletana.

 

Dopo gli arresti, le scarcerazioni fulmine e sospette, i divieti e le polemiche, sui maggiori quotidiani italiani si è accesa una discussione pacata che parte da una semplice domanda : “La violenza degli ultras napoletani è riconducibile ad una più ampia crisi della società napoletana oppure è più giusto inserire i fatti di Napoli in un più ampio problema ultras?”

 

Numerosi sono stati gli interventi e le riflessioni di esponenti importanti della società strutturata campana e napoletana dal Rettore Trombetti al magistrato Corona passando per il Presidente dell’Unione Industriali Lettieri. La tesi che sembra prevalere tende a rifiutare il parallelismo violenza-Napoli, preferendo invece una lettura globale, che spiega i fatti di domenica come  l’ennesima dimostrazione dell’imbarbarimento del tifo moderno. Non si può certo nascondere l’esistenza di un problema Ultras: basta ricordare l’assalto ai commissariati romani di pochi mesi fa, in occasione della morte di Gabriele Sandri, o gli scontri tra tifosi parmensi e juventini che portarono alla morte di un altro tifoso.

 

E’ del tutto evidente che il fenomeno ultras tende a diventare problema nazionale, da contrastare con misure legislative efficaci e adeguati elementi di prevenzione. E’ altrettanto vero però che i 1300 devastatori di Roma-Napoli ci parlano di fasce sempre più ampie di giovani napoletani e campani per i quali il confine tra tifo e violenza è sempre più labile e meno marcato.

 

Su un quotidiano nazionale ieri era riportato il racconto di 4 giovanissimi aspiranti ultras che spaventati si erano rifugiati in una carrozza e lì rimproverati dal “capo” al grido di “fuori le lame”. Perfetto. I quattro giovanissimi  tifosi fanno tenerezza, se li si immagina tremanti e spaventati. Ma la domanda è “perché erano li”, per fare cosa? Solo per sostenere l’undici napoletano?

 

Insomma negare la connessione tra l’esplosione di violenza e la crisi profonda della società napoletana può essere pericoloso, oltre che disonesto. Rivendicare la differenza tra tifosi buoni e tifosi cattivi appare sempre più come un maldestro tentativo di nascondere la “monnezza” sotto il tappeto più che indice di una volontà delle migliori energie napoletane di leggere fenomeni che rischiano di travolgere la pacifica convivenza, oltre che il legittimo diritto allo sport di ciascuno.

 

(foto Corriere delle Sport)