Il mondo dei writers raccontato da uno dei maggiori esperti italiani: Luca Borriello

di Lorenzo Quilici

Abbiamo raccolto il parere di uno dei massimi esperti in Italia del writing per capire qualcosa di più di questo affascinante mondo che vede come protagonisti migliaia di giovani in tutte le regioni d’Italia. (Lorenzo Quilici)

luca_borriello Luca Borriello, classe 1977, ha scritto innumerevoli pubblicazioni sull’argomento - essendo stato assistente della cattedra di teoria e tecnica della comunicazione all’università di Napoli – e da alcuni anni ricopre la carica di direttore del primo osservatorio internazionale sulla creatività urbana, Inward (International Network on Writing Art Research and Development) e inoltre di Coordinatore Generale del Centro Territoriale per la Creatività Urbana - Fondazione Vodafone Italia;

Da quando c'è stata la consapevolezza da parte dell'opinione pubblica che i writers sono degli artisti e il graffitismo può essere considerato una vera e propria forma d'arte?
Non è pacifica questa relazione, non lo è mai stata ed è giusto così. L’opinione pubblica è uno dei tre elementi che nella nostra considerazione giocano una partita dai tempi imperfetti sull’argomento, insieme ai decisori politici e al sistema dei media. La triangolazione che si viene a creare fagocita, talvolta, il senso reale delle cose, giacché in tale gioco delle sponde la doxa conferma o vira l’azione politica, principalmente municipale, e gli esiti dell’intesa tacita sono diffusi poi dalle agenzie di stampa, pure ben oltre i confini territoriali e di competenza, rigenerando l’opinione stessa.
È necessario, dunque, agire su uno o più di questi tre elementi, al fine di condurre ad onore del vero i cittadini, gli amministratori ed i comunicatori sull’alto valore del fenomeno in parola. Tralascio le discussioni sulla sua portata artistica, inesauribili e di impossibile pacificazione, riportando il fatto che al pubblico più o meno specializzato i graffiti furono presentati come forme d’arte per la prima volta, com’è noto, in quegli anni Ottanta che non avevano certo dimenticato o risolto l’energia creativa che illegalmente scriveva i nomi sulle cose della città, ed anzi era appena all’inizio. Oggi siamo in un momento diverso eppure di ricorso sul desiderio di rilanciare senza freni le estetiche e le performance caratteristiche anche sui più aggiornati sistemi dell’arte contemporanea. Ed in tutto ciò, le buone intese con attori eterogenei sono fondamentali, per motivi intuibili. È in effetti possibile che l’opinione pubblica non ne venga coinvolta, ovvero è probabile che la stessa si concentri finalmente su ciò che impatta con grande creatività e capacità pittorica, acquisendo consapevolezza sul valore artistico innovativo dei creativi urbani i quali a più di quarant’anni dagli inizi non hanno mai smesso di animare forse la più longeva corrente espressiva anaccademica mai esistita, piuttosto che sul fatto, ad un certo punto assai specioso, che un’opera sia stata o meno realizzata secondo autorizzazione.

Dove è il confine tra l'opera d'arte e una semplice scritta?
Ad urto, ricordo di essermi fatto la stessa domanda quando venni a conoscenza del progetto di ricreare la Porziuncola di Santa Maria degli Angeli a San Francisco, USA, affreschi compresi. Questi furono realizzati con la tecnica pictografica da una bottega artigianale umbra che, nel ricrearli, non li liberò dai graffiti, semplici scritte probabilmente dei pellegrini francescani, che dal Cinquecento sono stati incisi sulle pregevoli opere di scuola umbra sul lato della cappella. E ricordo che m’incuriosì piuttosto ingenuamente la riproposta di quei segni – semplici scritte su opere d’arte, diciamo – anzitutto per la procurata sparizione del senso di testimonianza autografa e tuttavia anche per la serena accoglienza dei graffiti ad opera del Sacro Convento. Ma la Chiesa ha da sempre un rapporto molto particolare con il fenomeno; finanche la rivista dei giovani dell’Azione Cattolica Italiana si chiama Graffiti. Divagazioni a parte, rischiamo di scivolare nuovamente nei prudenziali tentativi di distinzione tra arte, estetica, espressione e cose simili da un lato, e dall’altro tra scritture esposte, graffiti, street art e via elencando, se affrontiamo su due piedi le categorie “opera d’arte” e “semplice scritta”. La qualità della prima e la banalità della seconda, verrebbe da dire, sono solo attribuzioni di tipo estetologico, laddove il fenomeno è invece involto da sempre in una temperie di considerazioni tutt’altro che univoche e disciplinari. Si tratta dunque di un confine che di volta in volta ritaglia e campisce lo spazio di riflessione sul singolo prodotto, come sempre. Il problema è piuttosto nel “pregiudizio universale” (Eron) che pervade dalle origini l’intero fenomeno e le sue più usuali produzioni.

Le istituzioni hanno a cuore il graffitismo? Lo hanno sostenuto?
Il modello creato e sviluppato da INWARD dapprima distingue pubblico, privato, terzo settore e internazionale, per via del carattere specifico che la creatività urbana esprime sui singoli campi (nonché per la postura dei soggetti precipui dei campi stessi nei confronti del fenomeno), per poi incrociarne gli apporti su progetti o programmazioni a medio termine. Per cui, negli ultimi anni abbiamo avuto un’accensione di iniziative pubbliche contribuite da privati o con ricadute sulla sfera sociale partecipata o con principi di internazionalizzazione. Dopo il primo ed inedito bando nazionale ANCI per la valorizzazione della street art nei comuni d’Italia, caso unico al mondo di tale specie, e la diretta attenzione Ministeriale che ci fu a riguardo, gli enti pubblici hanno maturato una migliore considerazione del fenomeno. Da allora in poi, anche adesso, è ampiamente più semplice il dialogo con le istituzioni pubbliche, visto il precedente, e siamo contenti che siano decine e decine le organizzazioni che attualmente possono beneficiare dei suoi effetti duraturi, anche nelle grandi città. I valori che un decisore politico non mancherà di sposare sono quelli della riqualificazione, dell’educazione, della legalità ovvero dell’emersione dei giovani talenti. E l’opinione pubblica, dal suo canto, non può che condividere una scelta così illuminata, che ovviamente si accompagni alla repressione del vandalismo grafico in città. Insomma, un adagio stranoto e tuttavia quasi sempre vincente, pur nel semplicismo di alcune sue proposizioni. Ciononostante, la migliore prospettiva che stiamo osservando con interesse è ancora una volta quella torinese che, a seguito di riorganizzazioni della macchina comunale e poi di capacità interassociativa locale di dialogo con l’ente, ha spostato tutto l’affare della creatività urbana sotto le deleghe della cultura e dell’arte. Sembra solo un fatto tecnico, ma è oculatezza ed investimento di valore.

Nel 2006 nasce Inward, Osservatorio Internazionale sulla Creatività Urbana. Qual è stato il contributo che ha dato allo sviluppo del writing?
Se ci soffermiamo ancora sul modello, che rappresenta e sistematizza un circuito estremamente vitale di cooperazione a tutto vantaggio del fenomeno, oltre che di chi vi investe tanta energia quanta economia, è plausibile stimare un apporto del quale possiamo dirci sostanzialmente soddisfatti; ma non prima di aver precisato che, se contributo c’è stato, si tratta piuttosto della valorizzazione della creatività urbana. Dunque, INWARD ha compiuto un percorso preciso e pianificato. Si è intitolato all’idea di una rete internazionale che facesse insieme ricerca e sviluppo sul fenomeno, come a dire teoria e pratica, studio e azione. A tale scopo, ha messo insieme singole competenze dei primissimi anni Novanta, creando uno strumento innovativo e dinamico che, lentamente, ha rivoluzionato il modo di intendere il fenomeno. E basta anche solo riguardare in che modo oggi la cronaca locale e nazionale riflette sui suoi attori. Dopo un lunghissimo lavoro, balzando in avanti per sintesi, oggi INWARD è strutturato con un rilevante Comitato Scientifico; un Comitato Internazionale di presidenti di organizzazioni tematiche estere che condividono il modello e lo sviluppano nei propri Paesi; un Comitato di Ricerca nutrito di decine di studiosi da Università di mezzo mondo; quattro Dipartimenti dedicati ai quattro ambiti di ricerca e sviluppo (pubblico, privato, terzo settore, internazionale), popolati di esperti di alto grado professionale, divisi a loro volta in otto Unità (Governi, Università, Artisti, Aziende, Associazioni, ONP, Europa, Mondo); varie piattaforme permanenti scaturite dalle intese con importanti partner nazionali dei quattro ambiti, grazie alle quali, oltre le attività più ordinarie sia di ricerca sia di sviluppo, studiamo ed implementiamo complessi progetti speciali mediante la convergenza sollecitata tra le aree di interesse. Ed è a questi stessi che stiamo per lavorare.
Tra gli strumenti operativi, abbiamo poi la comunicazione delle Città della Creatività Urbana (Italian Graffiti), il Centro Studi e le sue Università italiane ed estere (Inopinatum), la rete di trenta Associazioni per la Creatività Urbana in tredici regioni, animate dalla massima parte della scena creativa urbana nazionale (Do the Writing), il network internazionale di organizzazioni operative sul tema (Urban Creativity Alliance) ed il Centro Territoriale per i progetti sociali, educativi e di volontariato (Cunto). Chi più chi meno, negli anni Novanta abbiamo vissuto tutti l’evoluzione di un fenomeno straordinario, che non smette di affascinare intere generazioni. Il 21 luglio 2011, a quarant’anni esatti dalla prima comunicazione giornalistica sulle pagine del New York Times, abbiamo organizzato i primi Stati Generali della Creatività Urbana alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per dimostrare il modello agli alfieri nazionali dei suoi quattro ambiti e per rinnovare la qualità stessa della comunicazione dovuta al fenomeno. In quell’occasione, su nostro invito e nella più alta cornice istituzionale possibile, i presidenti delle Associazioni per la Creatività Urbana hanno esposto, per la prima volta in assoluto e come a compimento di una prima sinergica sessione di lavoro, le linee guida per il futuro della creatività urbana. Un risultato che ancora ci emoziona.

Come vedi il writing alla fine di questo decennio?
Non posso che immaginarlo esattamente nell’inverarsi delle proposte delle Associazioni, visto che esse rappresentano la più reale portata del fenomeno in Italia, oltre ad essere un unicum al mondo in fatto di presa di responsabilità da parte di creativi urbani ormai maturi. Inoltre, come ogni trasformazione, vedo la classica strozzatura nel centro e due lievitazioni opposte: maggiore business ed autoimpresa da un lato, maggiore integralismo e ritorno alle origini dall’altro. Infine, una somma di aspetti che prevediamo e che sarà interessante osservare in futuro riguarda il dialogo con le nuove tecnologie, l’espansione del mercato dell’arte, la reviviscenza di uno spirito sovversivo e una qualche possibile classificazione delle forme e dei segni creativi urbani come testimonianze aventi valore di civiltà.