8 gennaio 2009. Tre ore di tregua al giorno
Questo è quello che le forze armate israeliane hanno promesso alla popolazione di Gaza ieri (7 gennaio) “I bombardamenti si fermeranno tra le 11.00 (le 10.00 italiane) e le
Dodici giorni di raid aerei; tre di incursioni via terra con carro armati e fanteria; almeno 702 morti fra i palestinesi di Gaza, molti di loro sono bambini; 100 militanti del partito Hamas uccisi (stando alle fonti israeliane); oltre 3.100 feriti fra la popolazione civile; colpi di mortaio israeliani che spezzano le vite di decine di persone rifugiatesi nelle strutture dell’Unrwa (l’agenzia dell'Onu per i profughi palestinesi) come avvenuto il 6 gennaio nella scuola al-Foukhar di Jabalya; 4 morti fra i soldati del premier Ehud Olmert, tre di loro caduti sotto il cosiddetto “fuoco amico”, colpiti cioè da altri soldati israeliani che li avevano scambiati per bersagli; razzi che continuano a cadere nel sud di Israele.
E la prospettiva di una nuova fase di scontri che avrà luogo “casa per casa”, penetrando cioè sempre più nelle zone popolate.
Dall’altro lato ci sono le rivendicazioni di un popolo ancora senza Stato che chiede il “cessate il fuoco” alla luce di una situazione umanitaria a dir poco catastrofica: la guerra impazza, gli aiuti non arrivano, solo oggi, con la tregua di tre ore, la prima ondata di container carichi di viveri e medicine ha attraversato il valico di Kerem Shalom, al confine tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto.Anche l’informazione è lasciata fuori, nonostante le pressioni degli operatori del settore: “per ragioni di sicurezza” giornalisti e cameraman non possono entrare a Gaza, la loro voce non può raccontare cosa sta succedendo solo a pochi kilometri distanza.
Voci di protesta arrivano dalla Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) che è ricorsa alla Corte Suprema di Gerusalemme per chiedere alle autorità israeliane di garantire ai suoi membri l'ingresso a Gaza, anche mediante squadre di una decina di giornalisti da organizzarsi giorno per giorno. La posizione delle forze armate non è però cambiata, e la polizia ancora vigila al confine per evitare “infiltrazioni” di cronisti. Non mancano, inoltre, le reazioni dei leader politici. In prima linea il presidente francese Sarkozy, guida uscente del Consiglio di Sicurezza europeo, che ha presentato insieme all’egiziano Hosni Mubarak un piano internazionale per il “cessate il fuoco”, che pare sia stato favorevolmente accolto da Israele e dall’Autorità palestinese rappresentata all’Onu dal presidente Abu Mazen.
Ma le questioni sollevate dall’operazione “Piombo fuso” sono molte e decisamente complesse. Tra i punti nodali la possibilità di avviare o meno un dialogo con Hamas, la cui attività di guerriglia è stata identificata come la causa dell’attacco israeliano a Gaza, ma che, e lo si dimentica spesso, resta il partito di maggioranza democraticamente eletto alle ultime elezioni.
Si è in attesa, infine, di una presa di posizione compatta da parte del mondo arabo, che ha fatto sentire la propria voce attraverso i leader dell’Egitto e della Libia, ma che ancora non ha elaborato una strategia unitaria che possa contribuire al processo di pacificazione in medio-oriente.
Medio-oriente dove forse si è persa la dimensione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma dove certamente persone innocenti muoiono ogni giorno.