Caputo, Vice Presidente Nazionale Giovani Confindustria: “I giovani che fanno servizio civile maturano competenze decisive per contesti lavorativi aziendali”

di Marco Di Maro

La forte disoccupazione giovanile che in Italia è ormai attestata oltre il 40% tra le tante ricadute negative  fa registrare anche un allontanamento dei giovani italiani, soprattutto quelli del Mezzogiorno, dal mondo del volontariato e ha smesso di farli sognare di poter seguire i propri progetti di vita e lavoro. Per Vincenzo Caputo, Vice Presidente Nazionale dei Giovani di Confindustria con delega all’Education e Capitale Umano, il volontariato invece è un “driver strategico di crescita personale e sociale”. ServizioCivileMagazine lo ha intervistato. (Katia Tulipano)

intervista_caputo Al centro del dibattito dell’ultimo congresso dei Giovani di Confindustria è stato posto il Mezzogiorno, definito come patrimonio d’Italia. Un provocazione forte. In che senso?
Il patrimonio più grande che ha il Paese è quello industriale e culturale: sono le persone, la natura, la storia. Sono le capacità manifatturiere, le risorse costiere. Sono il potenziale produttivo, i nostri marchi e la nostra arte. E il Mezzogiorno è la regione con la più alta concentrazione di siti Unesco, che tutto il mondo ci invidia,edha anche un potenziale produttivo altissimo in quanto realizza da solo un quinto del valore aggiunto nel settore alimentare e un terzo nell’aeronautica ed esporta il 75% della raffinazione e quasi il 20% della cantieristica. Per questo è un patrimonio che l’Italia deve mettere a valore, perché possa contribuire allo sviluppo di tutto il Paese e dare opportunità di lavoro e di impresa a chi ci vive, ad iniziare dalle nuove generazioni che oggi sono costrette a emigrare per dimostrare il proprio talento.

 

Quanto il capitale umano è al centro delle attuali politiche di sviluppo del nostro Paese?
Con il Jobs Act, l’alternanza scuola-lavoro e le politiche attive il sistema di lavoro e di formazione ha subito una grande trasformazione: le riforme fatte dal Governo negli ultimi mesi vanno proprio ad accrescere l’importanza del merito, delle capacità professionali e del capitale umano all’interno del processo educativo e nel mercato del lavoro. Adesso sta a noi imprese, alle scuole e a chi si occupa di placement sfruttare questa occasione e puntare sul talento dei giovani. Nell’economia della conoscenza è essenziale sfruttare intelligenze e innovazione per essere competitivi e sono sicuro che l’Italia sia sulla strada giusta.

Secondo l’Europa le “competenze chiave per l'apprendimento permanente” costituiscono un valore aggiunto per il mercato del lavoro quale fattore di primaria importanza per l’innovazione, la produttività e la competitività. E per le aziende del nostro Paese?
Certo, come dicevo prima è essenziale. Come spiega Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum, il capitale sta perdendo il ruolo di fattore produttivo più importante. Al suo posto sono sempre più decisivi creatività, propensione all’innovazione, competenze delle persone. Il talento, nell’accezione di potenziale degli individui, è un driver strategico, fattore macroeconomico di crescita.Il tempo del fordismo è finito: alla “linea” si è sostituita la “testa”. Noi Giovani Imprenditori nel talento dei nostri collaboratori investiamo ogni giorno. Sappiamo che le nostre imprese non sono solo la somma di macchinari, ma l’unione di persone che tendono verso un fine comune.
Le competenze che contano sono proprio quelle “permanenti”, non legate cioè al solo sapere che viene dal contesto universitario, ma al saper fare che si apprende nella vita e sul lavoro: problemsolving, capacità di lavorare in team, project management, analisi delle opportunità e strategie innovative.

Che importanza ha per le imprese italiane la responsabilità sociale?
E’ importante per le imprese ma, ancora di più, per chi fa associazionismo per le imprese. I Giovani Imprenditori ad esempio, che dentro Confindustria e nel dibattito pubblico si configurano come laboratorio di idee, coscienza critica e responsabilità sociale, sono una associazione di persone e non di aziende il cui scopo è dare rappresentanza proprio all’imprenditore come attore sociale,  prima che alla sua azienda come attore economico, e lo fanno sulla base di principi valoriali quali etica, meritocrazia e trasparenza.
Un ruolo che, negli anni, ci ha portato a realizzare progetti concreti come la valorizzazione delle start up o il riutilizzo delle aziende confiscate alla mafia, ma anche a combattere grandi battaglie di social capability: parlando di partecipazione quando imperava il conflitto sociale; di Europa quando si preferiva il protezionismo; di Mediterraneo quando ancora non c’era la Primavera araba; di Euro quando la moneta unica sembrava un totem da fantascienza; di legalità ai tempi di Tangentopoli.
E, infine, a trasformare la società: è un successo dell’impresa se siamo stati capaci di creare un mito positivo attorno alle start up, se oggi negli USA le nuove generazioni vanno per la Silicon Valley e non per Woodstook, se a vent’anni dire “faccio l’imprenditore” non significa automaticamente per l’interlocutore essere un figlio di papà ma, all’opposto, un creativo, uno che rischia, uno che si mette in gioco.
Una rivoluzione culturale incredibile ottenuta grazie  alla diffusione della cultura imprenditoriale, grazie, in sintesi alla responsabilità sociale che cambia l’ecosistema e permette a chi fa impresa di poter essere non solo più sensibile verso il territorio, i propri collaboratori, i temi sociali ma anche di poter essere più produttivo, perché quando l’ambiente di lavoro e quello sociale sono sereni e cooperativi anche la qualità del lavoro migliora.

Restando nell’ambito della responsabilità sociale: un’azienda finanzierebbe un progetto di servizio civile per offrire ai giovani un’opportunità di crescita e formazione? Cosa dovrebbe fare lo Stato per favorire l’attenzione delle imprese al servizio civile?
Il volontariato è un driver strategico di crescita personale e sociale. A livello istituzionale vi è una crescente consapevolezza dell’importante contributo che apporta alla collettività e alla tutela del bene comune. Anche perché i giovani che affrontano un percorso di servizio civile maturano proprio quelle “competenze permanenti” e trasversali che poi risultano decisive anche in contesti lavorativi aziendali. Nei modelli anglosassoni, non è un caso, che le esperienze extracurriculari - come lo sport, l’associazionismo e il volontariato - sono considerate di estrema importanza perché arricchiscono il curriculum sul posto di lavoro. Io credo che la prima responsabilità su questo - ad esempio nel riconoscimento e la validazione di competenze spendibili nel mondo del lavoro in seguito di percorsi di volontariato - spetti però alle istituzioni, nazionali e europee, e non alle imprese, che sicuramente possono collaborare a valorizzare il servizio civile, integrarlo con la propria attività e con i propri progetti di responsabilità sociale, ma è chiaro che l’input deve venire dal pubblico, perché si tratta di un bene pubblico da valorizzare. Di un “patrimonio Italia” anche in questo caso.