Avere vent'anni. "Odissea 2008 nello spazio giovanile"
La chiamano generazione X e Y con la solidarietà nel Dna. Giovani uomini e giovani donne nell’Italia e nel mondo di oggi. Ma cosa desiderano davvero i giovani? "Credere per farsi credere" (di Gianfranco Mingione)
Avere vent’anni non è mai stato facile. Essere giovani, vuol dire appartenere ad una fascia d’età fra le più impegnative e ideali della vita e comporta notevoli sacrifici. Da un ultimo rapporto dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), emergono dati molto positivi, che lasciano ben sperare. Le parole chiave emerse nel corso della ricerca condotta dall’ANCI sono diverse: maggiori spazi culturali nelle città e momenti di partecipazione politica, meritocrazia e partecipazione alla definizione dell’agenda settino del sistema Italia, più sicurezza per il lavoro.
Quanto emerso dimostra chiaramente che i giovani ci sono e vogliono poter contare qualcosa. Hanno le idee chiare e sentono la necessita di essere più partecipi in ogni campo della vita sociale. Ad asserirlo sono proprio i ragazzi di oggi, cresciuti all’ombra del crollo delle ideologie, generazione X, poi Y, e via ancora con definizioni sociologiche fra le più diverse.
Come venire incontro a questi giovani che pagano lo scotto della esclusione forte e sentita da cariche di rilievo in ogni ambito sociale? La politica è il primo banco di prova. L’amministrazione della “polis”, della cosa pubblica, dovrebbe attrarre i giovani, forgiarne lo spirito su lotte ideali intrise di passione e sana dialettica. Invece assistiamo quasi sempre al solito gioco delle parti che si rincorrono. Ed i giovani in questo gioco vengono spesso utilizzati come fonti di voto e niente più.
Ma i nostri ventenni chiedono ben altro: vogliono partecipare, “entrare” nell’amministrazione pubblica della società, dire la loro per cambiare il sistema che troppo spesso perde colpi. Una parte sana e vitale della società che non è poi così distrattamente lontana dalla politica come qualcuno vuol farci credere. La loro volontà di partecipare la si può riscontrare attraverso le varie espressioni politiche e sociali entro le quali essi si rendono partecipi.
Essere giovani nel 2008 vuol dire imbastire rapporti con i coetanei e con la società. In un mondo sempre più veloce, frenetico, dove tutto è “iper” (iper-informazione, iper-autostrade, iper-centri commerciali, iper ecc.), nulla basta più e tutto scade dopo qualche giorno, o nel migliore dei casi, dopo un paio di settimane. Sono sparite le figure dei “Maestri”: maestri a tutto tondo, siano essi i saggi anziani – veri tesori di trasmissione orale, se non scritta, del sapere - siano essi i genitori o i maestri di scuola. Piccolo flasback in un passato non troppo lontano. Fino a venti anni fa non importava se i treni arrivavano con qualche minuto di ritardo in stazione e si ci alzava in piedi all’entrata della maestra in classe, accogliendola con un gaudente buongiorno. Quella non era una forma di servitù, ma una forma di rispetto verso un alto ruolo di guida formativo e civico. Civico? Altra parola scomparsa dal vocabolario comune. Dove è finita l’educazione civica? Difficile trovarla nei programmi scolastici.
Essere giovani oggi, in alcune zone del nostro amato Paese, è davvero difficile. In Calabria, Sicilia, Campania ed altre regioni ancora, forte è l’odore della società maltrattata nel suo animo più profondo, nella sua coscienza civile e umana. I giovani di queste terre martoriate vivono , la loro grande prova costantemente sotto i riflettori. Immaginate di essere degli atleti che non hanno neanche il tempo di fermarsi a respirare e devono costantemente dare prova del loro coraggio e della loro forza: come in una eterna corsa ad ostacoli, ecco i giovani calabresi che marciano per la pace e la giustizia; i giovani campani, come quelli delle periferie di Scampia, raccontati magistralmente da un altro giovane campano come Saviano, che si chiedono se la vita abbia un senso al di fuori di quel senso malato che è la vita in quei non luoghi della disperazione quotidiana; i giovani siciliani alle prese con un territorio fra i più, se non il più, distrutto dalla mafia.
Ma i giovani sono forti, combattivi, si pronunciano in ogni modo e con ogni mezzo. Si attivano nel sociale: associazioni per il territorio, per la cultura, per le tradizioni, per il rispetto della legalità, delle donne, dei minori. Vogliono realizzare una società accessibile, partecipata, democratica, fondata sullo sviluppo di tutti e per tutti. Queste sono le parole non dei giovani di oggi. Fanno parte del Dna di questa generazione. Non possono sottrarsi al loro istinto di sognare sempre in meglio, proporre idee creative per risistemare una società che non regge più il passo del progresso.
Se si ascoltassimo di più le menti giovani, il nostro amato Paese sarebbe davvero qualcosa di migliore. I giovani creano reti circolari del sapere. Un immenso “peer to peer” in cui la parola d’ordine è condividere, conoscersi, scambiarsi un messaggio di relazione. Migliorare il sistema, isolando anche quei fenomeni “malati” che provengono spesso dal mondo giovanile è uno dei punti di forza su cui dovrebbe basarsi una giusta politica rivolta ai giovani.
Lasciano ben sperare le parole del ministro per“Caro Ministro, i giovani la prendono in parola e la osservano. Ci crediamo davvero in un cambiamento. E l’ora di cambiare non può essere rinviata”.
Sito per approfondire le “best practies” della realtà giovanile: http://adnkronos.giovani.it/