Certificazione delle competenze: volontariato e Servizio Civile alla prova di maturità

di Enrico Maria Borrelli

La recente riforma del lavoro varata dall’ex Ministro Fornero introduce, attraverso il decreto n.13 del 2013, il tema della individuazione, validazione e certificazione delle competenze conseguite in ambiti di apprendimento non formali. (Enrico Maria Borrelli)

enrico_maria_borrelli E’ definito non formale l’apprendimento “caratterizzato da una scelta intenzionale della persona che si realizza (…) in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale (…)”.

L’articolo 1 dello stesso decreto delinea la cornice politica nella quale si incardina: “La Repubblica, nell'ambito delle politiche pubbliche di istruzione, formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e del welfare, promuove l'apprendimento permanente quale diritto della persona e assicura a tutti pari opportunità di riconoscimento  e valorizzazione delle competenze comunque acquisite in accordo con  le attitudini e le scelte individuali e in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.”

Basta tanto a confezionare sul volontariato e, ancor più, sul servizio civile un nuovo abito culturale. Se fino ad oggi questi luoghi dell’impegno civico sono stati, quasi sempre, vissuti dai volontari in una esclusiva dimensione di socialità e di solidarietà, afferenti quindi alla sfera delle esperienze e della crescita personale, si apre con questo provvedimento un orizzonte nuovo, sicuramente più stimolante, di una crescita anche professionale.

Il processo che porta al riconoscimento e alla certificazione delle competenze, acquisite da chi fa volontariato o servizio civile, passa attraverso la preventiva “individuazione” delle competenze acquisibili in tali contesti. Poche sono, ad oggi, le indagini condotte in tal senso, per cui si renderà necessario stimolare ricerche e sperimentazioni che aiutino il legislatore a definire le “competenze minime” e quelle “specifiche” che si possono maturare in tali contesti non formali.

Una volta individuate le competenze e definiti gli standard per la validazione resta da comprendere quali saranno i “soggetti titolati” alla certificazione. Mentre i soggetti “titolari”, ovvero “le amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e delle province autonome”, sono chiaramente indicati nel decreto, quelli “titolati” sono più genericamente indicati: “soggetto, pubblico o privato (…) autorizzato o accreditato dall’ente pubblico titolare”.

Dunque, in potenza, possono essere le stesse organizzazioni di volontariato e gli enti di servizio civile, sempre che provvedano ad accreditarsi quali enti certificatori di competenze. Il terzo settore si trova di fronte ad una straordinaria novità e al tempo stesso ad una sfida ambiziosa: trasformarsi da luogo di impegno e di partecipazione a struttura formativa.

C’è da chiedersi, infine, se questa rivoluzione culturale farà bene o male al mondo del volontariato, da sempre sostenitore dell’impegno puramente spontaneo, del dono e dell’altruismo, che si troverà, probabilmente, ad accogliere tanti giovani, candidati volontari, che busseranno alle porte per un’esperienza, invece, di formazione.