Servizio Civile Universale: una riforma per i giovani?

di Roberto Minervino*

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Con l’approvazione da parte delle Camere dello schema di Decreto Legislativo che istituisce e disciplina il Servizio Civile Universale, il primo che attua la Legge 6 giugno 2016, n. 106 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” dovremmo assistere nei prossimi mesi al passaggio dall’attuale Servizio Civile Nazionale al Servizio Civile Universale.

Si tratta di una riforma attesa e richiesta da molto tempo da tutti gli attori del Sistema. Il decreto legislativo rappresenta un’occasione importante per riformare in maniera adeguata uno strumento che necessitava di una “messa a punto” al fine di potenziare le eccellenze emerse in questi 16 anni e correggere le criticità che hanno appesantito il Servizio Civile. Il provvedimento sembra però non rispondere a pieno alle necessità di riforma, non tenendo conto fino in fondo delle esigenze dei giovani che sono poi i protagonisti di questa esperienza.

Partiamo dalle finalità del Servizio Civile Universale: la riconferma del Servizio Civile quale strumento di Difesa Non Armata della Patria rispondente ai valori degli art. 11 e 52 e la sua connessione agli articoli 2 e 4, comma 2 della Costituzione sono certamente elementi utili a definire con chiarezza cosa deve essere il nascente SCU. Non è stata confermata però, e a me questo appare grave, anche la finalità prevista dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 1 della Legge 64/01; il “contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all'estero”. Questa finalità ha avuto grande rilevanza nell’esperienza del Servizio Civile Nazionale permettendo ad esso di essere un efficace strumento di attuazione delle Politiche giovanili a disposizione dello Stato, capace di coniugare valori etici e ideali a esperienze concrete formative, sociali e professionali spendibili nella vita futura dei giovani che vi hanno preso parte.

Se da un lato il servizio civile si è concretizzato in attività che hanno portato i giovani a collaborare alla gestione di servizi pubblici, a partecipare attivamente alla vita delle comunità, ad avvicinarsi alle istituzioni locali, al mondo del terzo settore e del volontariato, svolgendo un ruolo per loro inedito di erogatori di servizi invece che di fruitori, dall’altro lato ha rappresentato un’importante esperienza formativa e professionale capace di orientare scelte di studi, percorsi lavorativi e di partecipazione. La riforma sembra voler fare un passo indietro rispetto al vecchio Servizio Civile Nazionale, passando da una legge che aveva tra le sue finalità i giovani a una in cui i giovani sono solo lo strumento della sua realizzazione.

A confermare questa percezione negativa è il non accoglimento delle richieste fatte dai rappresentanti dei giovani in servizio civile e da alcuni enti di ridurre l’orario di servizio settimanale a venti ore per andare incontro alle loro esigenze di vita e di studio. Il servizio civile è stato definito in maniera corretta esperienza di formazione non formale e dovrebbe essere possibile parteciparvi senza dover rinunciare ad altre attività.

L’esperienza di questi anni ci insegna che tra gli aspetti critici della proposta ai giovani vi è sempre stata la poca flessibilità: la scelta errata di una decina di anni fa, di alzare invece di abbassare, il monte ore minimo settimanale da venticinque a trenta e l’impossibilità di organizzare l’impegno settimanale su meno di cinque o sei giorni alla settimana, sono condizioni che hanno impedito a molti giovani che studiano o fanno piccoli lavori di prendervi parte e hanno costretto altri ad abbandonare il servizio dopo averlo iniziato.

Un servizio civile veramente universale non può mantenere questa rigidità e non deve proporre ai giovani un anno di “caserma civile”. Deve essere uno strumento flessibile, attento ai tempi e alle necessità di un mondo giovanile in continua trasformazione e, nel nostro Paese, fin troppo penalizzato.

Bene quindi l’attenzione alla certificazione delle competenze acquisite, bene la proposta di servizio all’estero e di accompagnamento al lavoro, bene la defiscalizzazione del contributo ricevuto e il suo ancoraggio al costo della vita.

Bene anche il riordino dell’accreditamento: le esigenze organizzative, gestionali e di risorse umane richieste dalla realizzazione di attività di servizio civile non sono affrontabili seriamente se non attraverso un sistema di enti di accoglienza che deve essere adeguatamente dimensionato alle necessità, con personale dedicato, adeguatamente formato e preparato, con livelli di specializzazione e competenze elevati. Non era più accettabile né tantomeno credibile prevedere la presenza nel sistema di un ente che coinvolge 3-4 giovani in servizio civile all’anno.

Mi auguro che in fase di approvazione definitiva il Governo corregga le rigidità segnalate. Il servizio civile è innanzitutto una proposta di partecipazione alla vita delle istituzioni e della comunità fatta ai giovani che vivono nel nostro Paese, quindi i giovani devono esserne i protagonisti e le loro esigenze ed i loro bisogni devono rappresentare delle priorità su cui modellare il sistema. Costi quel che costi.

*esperto del monitoraggio dei progetti, già componente della Consulta Servizio Civile Nazionale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri