5 milioni gli immigrati regolari, i “nuovi italiani”

di Anna Laudati

All’indomani della presentazione del dossier Caritas-Migrantes sull’immigrazione, uno sguardo alle storie dei “nuovi italiani”. Storie intricate, complesse, a volte dolorose, mai scontate. Sono le voci delle ricchezza e della diversità, intesa come scambio reciproco che completa l’altro. (Chiara Matteazzi

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Ieri, 26 ottobre, è stato presentato a Roma il dossier sull’immigrazione 2010 a cura di Caritas-Migrantes. Un dossier inedito, puntuale, attendibile, che risponde con voce forte e chiara a chi cavalca, e non sono pochi purtroppo, istanze di razzismo e di xenofobia. Da questa ricerca è emerso che gli immigrati regolari nel nostro Paese sono circa 5 milioni. Essi rappresentano il 10% dell’occupazione, l’11% del Pil, e garantiscono annualmente alle casse pubbliche circa un miliardo di euro per via del gettito fiscale, il che in parole povere si traduce in un contributo fondamentale offerto all’Italia.

Sono dati importanti, questi, se collocati nel contesto attuale. Innanzitutto perché incontestabili e inconfutabili, da considerare come punto di partenza per una qualsiasi analisi del fenomeno migratorio. Devono erigersi a verità, come di fatto sono, con la quale confrontare il ciarpame mediatico e propagandistico che ci viene servito quotidianamente. Sarebbe tuttavia limitante guardare al dossier solo come statistica oggettiva e scientifica, in quanto dietro a quei numeri ci sono milioni di persone con una propria storia, un passato, un presente in costruzione o già consolidato, ci sono famiglie e tradizioni . Ci sono i “nuovi italiani”, per usare una meravigliosa espressione.

E ci sono, ovviamente, le loro storie. Intricate, complesse, a volte dolorose, mai scontate. Sono le voci delle ricchezza e della diversità, intesa come scambio reciproco che completa l’altro. Sono voci urlanti, che si manifestano nelle più svariate modalità, permeando ed al contempo elevando la nostra società. Una forte testimonianza dell’opera di questi nuovi italiani si sta avendo ad esempio all’interno della campagna a favore della lettura, promossa in tutta Italia, “Ottobre-Piovono libri” (per informazioni sul programma dettagliato: www.comune.roma.it).

Proprio in occasione di tale iniziativa, la capitale (e non solo) ha organizzato una serie di eventi e iniziative dislocate in tutta la città, per farne risplendere una faccia inedita, di cui la parola si fa paladina.

In primo piano autori spesso figli dell’immigrazione, che hanno scelto, e continuano a scegliere, di scrivere in italiano. Come Cristina Ali Farah, Anilda Ibrahimi, Claudiléia Lemes Dias, e molti altri. Scrittori coraggiosi, capaci di mettersi a nudo e di condividere letterariamente, ed umanamente, l’esperienza dell’immigrazione, dell’allontanamento e in qualche caso dell’estraniamento dal proprie Paese d’origine, del distacco dai propri cari, dell’adattamento ad una nuova società. 

A molti potrà sembrare un aspetto poco rilevante, ma per un immigrato quella di scrivere in lingua italiana è una scelta importante, densa di significato, e spesso per niente facile. La lingua ha la straordinaria capacità di unire le persone, di farle sentire parte di qualcosa, di condividere senza filtri né lacune emozioni, storie, idee. La lingua sa abbattere delle barriere che a volte né la politica, né i fatti concreti, riescono a scalfire.

E soprattutto, la lingua sa creare nuove identità, come raccontano questi scrittori. Identità poliedriche, a volte complesse, che diventano nuovi occhi con cui guardare al mondo. Così, mentre c’è chi si ostina ad aizzare fuochi e a far leva sulla pancia delle persone, una grande fetta della società ha già inconsapevolmente e naturalmente intrapreso strade diverse, e certo più promettenti.

E al posto di leggere un articolo su quanto siano diventate pericolose le città italiane a causa dell’immigrazione, si appassiona con le storie dei “nuovi italiani”, talenti adottati dal nostro Paese che contribuiscono allo sviluppo e al successo della sua letteratura. Perché una società (qualsiasi società) senza nuovi stimoli, senza nuove sfide o interrogativi, è destinata a perire.

(foto: migrantitorino.it)