Due adolescenti in trappola sbarcano alla Biennale di Venezia

di Ornella Esposito

Il noto regista-documentarista Leonardo di Costanzo debutta in Laguna con il suo primo film di finzione, L’Intervallo, in cui racconta la storia di due adolescenti prigionieri delle logiche criminali della loro città: Napoli. (Ornella Esposito)

locandina_l_intervallo “Succede che gli uccelli che vivono in gabbia, anche se gli apri la porta non fuggono. I cardellini, a volte, dalla rabbia si scagliano contro le sbarre ma pure loro, se gli apri la griglia non scappano”.

Leonardo di Costanzo, noto documentarista e docente presso i famosi Ateliers Varan di Parigi, ritorna a parlare della sua Napoli, e lo fa ancora una volta attraverso gli occhi degli adolescenti.

Ragazzi come uccelli rinchiusi in gabbia, privati della loro libertà, questo è il nocciolo del suo primo film di finzione in concorso alla Biennale di Venezia nella sezione Orizzonti.

Gli uccelli de L’Intervallo sono Veronica e Salvatore, due adolescenti napoletani già adulti che si trovano rinchiusi in un enorme edificio abbandonato di un quartiere popolare. L’uno deve sorvegliare l’altra. Lei ha sgarrato frequentando un ragazzo di un clan rivale a quello dominante nel quartiere e deve essere punita. Lui, viene scelto come suo carceriere. Lei si ribella alle regole del clan, lui non ne ha il coraggio. Inizialmente nemici, i due ragazzi, pian piano si avvicinano ed iniziano a sprigionare fantasie e sogni, un intervallo, appunto, nelle loro esistenze già adulte e difficili.

Il film, scritto insieme a Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, prodotto da Carlo Cresto-Dina e distribuito dall’Istituto Luce,  uscirà nella sale cinematografiche il prossimo 5 Settembre.

ServizioCivileMagazine ha incontrato il regista.

I protagonisti del film sono due ragazzi già adulti che si trovano ad essere prigionieri l’uno dell’altra. Vivono privati della libertà di scelta. Perché ha deciso di raccontare questa storia?
Già altre volte ho parlato degli adolescenti.
Con i documentari ho avuto la sensazione di essere arrivato alla fine di un percorso. Per raccontare questa  storia, rimanendo nel documentario, avrei dovuto intervenire parecchio sui personaggi, dando delle indicazioni che mi avrebbero portato verso la finzione. Questa cosa non mi sembrava eticamente corretta.
Ho voluto scrivere una storia che fosse tutta chiusa in uno spazio perché non volevo che l’immagine della città, Napoli, invadesse la storia stessa. Il focus doveva essere solo sui due personaggi e sulla loro  condizione di assenza di libertà.

La gabbia di cui lei parla, nel film è la logica camorristica, diventa emblematica delle tante altre gabbie in cui sono rinchiusi i ragazzi oggi
Certo, io credo che il gruppo sociale, l’appartenenza, il villaggio per quanto sia bello ed accogliente, rappresenta anche una gabbia, . Questa storia si svolge a Napoli, ma poteva svolgersi  a Teheran come in un collegio Svizzero.

I due protagonisti dinanzi alla privazione della libertà, reagiscono in maniera opposta: lei si ribella, lui si adatta. Sembrano essere un po’ i due volti di Napoli
Si, sono il volto nostro. Ho la sensazione che noi siamo sballottati dalle piccole ingiustizie e dai soprusi quotidiani.

Per realizzare il film, lei ha trascorso molto tempo tra i ragazzi
Si, insieme a Maurizio Braucci, definita in linea di massima la storia, abbiamo fatto una ricerca sull’immaginario adolescenziale e siamo andati in giro per le varie associazioni della città a parlare ed ascoltare  i ragazzi.

E che idea  sei è fatto dei ragazzi di oggi.  Speranzosi o disillusi?
In questo momento sono più disillusi, il film un po’ lo dice.

Però poi c’è l’intervallo...
Si, c’è lo spazio in cui riesci a trovare te stesso, a vivere, a sognare, a sedurre anche se lo spazio che ti è dato è sempre più piccolo.

Il finale, naturalmente, non ce lo può dire. Ma il suo è un film di speranza o di disperazione?
È un film un po’ nero, ma solo nel finale. All’interno invece è molto vivace, appunto c’è l’intervallo.

Per ulteriori informazioni www.intervalloilfilm.it