Crisi del Welfare e primi passi del Governo: intervista al deputato di Sel Giulio Marcon

di Ornella Esposito

Politiche ed operatori sociali al collasso. Il neo vice Ministro Cecilia Guerra afferma che “intorno alle spese per il welfare il clima è cambiato”. Intervista al deputato Giulio Marcon di Sinistra Ecologica e Libertà, intervenuto a Napoli al convegno “Che fare? Operatori dentro la crisi”. (Ornella Esposito)

foto_giulio_marcon NAPOLI - Il Welfare è in profonda crisi. Non solo economica. Per questo motivo il Centro territoriale Mammut di Scampia insieme con la rivista “Lo Straniero” e le edizioni “Gli Asini”, ha promosso a Napoli, dove gli effetti dei tagli alle politiche sociali sono particolarmente devastanti, una due giorni (venerdi e sabato scorsi) di riflessioni e tavole rotonde sul tema della crisi.

A margine del convegno, ServizioCvileMagzine ha intervistato il deputato di  Sel, Giulio Marcon, promotore della campagna “Sbilanciamoci!”, sui temi oggetto della discussione e sulle prospettive future.

Dottor Marcon, il neo vice Ministro alle Politiche Sociali Cecilia Guerra ha dichiarato nel corso di un’intervista al quotidiano “Vita” che non solo in Italia ma in tutta Europa, il “sociale è ormai considerato un elemento di coesione e sviluppo”. I primi passi del nuovo Governo sono coerenti con queste affermazioni?
«È presto per dirlo, per ora questi primi passi ancora non ci vedono. Non ci sono misure certe – per esempio – su come si dovrà rifinanziare la cassa integrazione, e poi aspettiamo di capire cose si farà su misure evocate come il reddito di cittadinanza, come le misure a sostegno della scuola e della sanità».

A proposito del reddito di cittadinanza. Per fare chiarezza: questa misura la intendete rivolta a tutti i cittadini o condizionata al possesso di determinati requisiti?
«Noi riteniamo debba essere una misura universale cioè rivolta a tutti, ma nello stesso tempo una misura di cui beneficino coloro che si trovano in condizioni di povertà insostenibile. Pertanto, la immaginiamo come misura di integrazione al reddito e sotto forma di un’erogazione economica che sia un diritto universale per tutti cioè per giovani, anziani, disoccupati, studenti e possa garantire condizioni di vita accettabili. L’ottica è che il reddito di cittadinanza non sia un intervento straordinario bensì ordinario».

Come pensate di scongiurare il rischio che il reddito di cittadinanza si trasformi in uno strumento che crea dipendenza ed aumenta l’assistenzialismo?
«In un Paese dove c’è il lavoro nero e gli stipendi sono bassi, il rischio che il reddito di cittadinanza crei dipendenza è reale. Il problema è come coniugare la misura del reddito di cittadinanza con misure per il lavoro, altrimenti si rischia che non diventi un diritto di cittadinanza ma un ammortizzatore sociale per coprire forme di lavoro nero o assistenzialismo. Il modo migliore è creare occupazione vera, non precaria, su cui innestare la prestazione economica del reddito di cittadinanza».

Lei sostiene che il documento di programmazione economica e finanziare in discussione in Parlamento è una falso in quanto non ci sarà il previsto aumento del 3,9% del P.I.L. Ci spiega meglio come stanno le cose?
«Sono stime gonfiate, ottimistiche. Poi le cifre le può fare chiunque e dipende da quali dati si prede a riferimento. Credo che il Governo abbia fatto delle stime troppo ottimistiche rispetto a delle previsioni di crescita del P.I.L. che, secondo me, non ci sono. Va ricordato che il Governo Monti ha fatto una serie di stime nei diciassette mesi di mandato rivelatesi poi non rispondenti alla realtà, e che ha dovuto necessariamente rivedere».

Lei sostiene da sempre che se si eliminano le spese militari, si tagliano i finanziamenti alle scuole private, alle opere inutili quali la TAV, ci sarebbero le risorse per il sociale e la sanità. In questo momento di crisi così grave, basterebbero questi tagli per scongiurare le politiche di austerità?
«Sicuramente non basta, ma darebbe un’inezione di risorse fondamentali. Se i 13 miliardi per gli F35 li utilizzassimo per la scuola, i circa 2miliardi per la realizzazione di grandi opere li usassimo per la messa in sicurezza delle scuole, 600 milioni di euro per le scuole private li dessimo agli studenti che non possono permettersi di sostenere i costi dei loro studi, penso che sarebbe un contributo importante. Dopo questo, è chiaro che serve una politica più strutturale che colpisca di più i grandi patrimoni, di meno il lavoro e liberi più risorse per il Welfare».

Siamo a Napoli in una situazione drammatica. In tre anni sono stati bruciati oltre 600 posti di lavoro e quasi la metà delle strutture socio-assistenziali e sanitarie sono state costrette a chiudere. Cosa si sente di dire agli operatori sociali napoletani e quali potrebbero essere delle proposte concrete per questa città?
«Quello che posso dire agli operatori di Napoli è di continuare a lottare, a fare fronte comune e portare proposte concrete verso l’Ente Locale, la Regione e soprattutto verso lo Stato cui bisogna dire che deve rifinanziare il Fondo Politiche Sociale e mettere uno stop al blocco dei trasferimenti agli enti locali che hanno il compito di assistere i cittadini.
Mi rendo conto che è difficile fare proposte concrete, ma la mobilizzazione per cambiare gli indirizzi delle politiche del Governo è fondamentale. Nel locale si possono poi sperimentare forme di mutualismo, autorganizzazione, volontariato anche se il problema fondamentale è quello del posto di lavoro degli operatori sociali».