Siani Reporter Prize: intervista ad Alessandro Migliardi

di Francesco Gentile

ServizioCivileMagazine incontra Alessandro Migliardi, vincitore del Siani Reporter Prize con il lavoro fotografico “Culturae ad Orientem vergit”. (Francesco Enrico Gentile)

migliardi Raccontare la realtà, metterne in risalto le sfumature, le forme, le brutture  e le bellezze. Coniugare la passione con l’impegno civile, provando a far mettere la propria arte al servizio della collettività. Così è definibile il lavoro di Alessandro Migliardi, giovane fotografo napoletano, vincitore del Siani Reporter Prize, premio intitolato alla memoria di Giancarlo Siani, cronista de “Il Mattino” ammazzato dalla camorra il 23 settembre del 1985.

Alessandro Migliardi, classe 1983, vincitore del “Siani Reporter Prize”con il Progetto Foto Cultura ad Orientem vergit". Una bella soddisfazione, non credi?
Una bellissima soddisfazione. Un premio dedicato alla memoria di Siani è qualcosa che ti riempie di orgoglio, soprattutto se sei napoletano. Giovane, precario e con un’infinita voglia di verità e giustizia, a qualsiasi costo purtroppo: a 27 anni dalla sua morte Giancarlo è ancora un simbolo drammaticamente attuale di giovani generazioni che non si rassegnano e nel raccontare trovano una ragione di essere. Il solo lontano paragone tra il suo ed il mio lavoro è semplicemente un onore enorme.

Parlaci del tuo lavoro.
“Culturae ad Orientem vergit” nasce in collaborazione con la mia collega Luciana Passaro, e vuole raccontare l’abbandono della scuola media “Giotto Monti” di San Giovanni a Teduccio. Abbiamo deciso di raccontare una scuola “in absentia”: suggeriamo quello che non c’è, quello che dovrebbe esserci. Non ci siamo limitati al luogo fisico, una scuola vandalizzata e abbandonata, ma abbiamo cercato di correre dietro le ultime tracce dei bambini e degli insegnati che furono. Oggi restano solo oggetti abbandonati all’incuria del tempo e degli uomini. Sotto il profilo tecnico abbiamo cercato un linguaggio fotografico spiazzante: inquadrature pulite con enorme attenzione alle composizioni secondo principi classici, simmetrie e false simmetrie e intensi cromatismi quasi pubblicitari, ma mai irreali, con colore saturo, a tratti puro, per evidenziare i dettagli e riportare tutta la drammaticità del luogo. Volevamo restituire il senso di straniamento provato al nostro ingresso nella scuola, la sensazione di un momento sospeso dopo la tragedia, come se insegnanti e alunni fossero fuggiti a causa di un improvviso cataclisma.

Come mai la scelta di puntare l’obiettivo su Napoli Est?
Napoli Est non sarà tristemente famosa come Scampia, ma è perché le manca la spettacolarizzazione della presenza criminale che è comunque radicata e forte. È un luogo contraddittorio, dalle enormi potenzialità e dai continui annunci di rinascita, puntualmente disattesi da un degrado costante e da un endemico senso di abbandono. Ci siamo chiesti come raccontare in immagini tutto questo, e quando abbiamo scoperto “l’aula dei libri perduti” abbiamo trovato la nostra icona: una scuola che occupava un posto centrale nel quartiere sostituita da con una necropoli delle buone intenzioni.

Quanto, della tua storia personale, è nelle foto e nel tuo lavoro?
Vivo a San Giovanni da quasi tutta la vita, e ho amici che hanno frequentato la “Giotto Monti”. C’è molta della mia personale rabbia e indignazione nella denuncia, ma cerco oggettività nel raccontare. In questo la fotografia mi consente il giusto equilibrio tra un punto di vista personale e l’attendibilità straordinaria di una immagine non manipolata o artefatta. Diciamo che la macchina fotografica si interpone in maniera equidistante tra me e una realtà da raccontare, e ne ricava una sintesi quasi perfetta.

La sua scelta di mettere in risalto la periferia orientale della città può servire, secondo lei, a riportare su parti di Napoli che stentano a ottenere le stesse luci del centro?
Non ho la presunzione che un lavoro modesto come il mio possa cambiare una politica decennale di abbandono, ho solo deciso di raccontare una storia che spero smuova le coscienze. Mi dispiace però che ho contribuito in parte, per l’ennesima volta, a mettere in risalto un lato negativo. Avrei avuto molto più piacere nel realizzare un reportage sul nuovo incubatore per le imprese che avrebbe dovuto sorgere nella struttura, e raccontare la storia di tante start up di giovani che, casomai, erano stati nelle stesse stanze anni prima come studenti.

Quali sono i suoi progetti futuri?
In collaborazione con Amnesty International stiamo concludendo con Luciana Passaro un reportage sui profughi fuggiti dalla Libia in guerra richiedenti asilo politico e che sono ospitati a Napoli e in tutta la Campania. 2500 persone racchiuse in un limbo fatto di burocrazia e inerzia, con una gestione delle spese tutt’altro che cristallina. Siamo continuamente alla ricerca di storie da raccontare, con infinita voglia di verità e giustizia. Come Giancarlo Siani.