9 Aprile 2011: in piazza contro la precarietà

di Francesco Gentile

Il 9 aprile in tutt’Italia per la prima volta scendono in piazza i preacari. Una buona notizia e un promemoria per un Paese che sembra aver dimenticato la forza e il valore dei suoi giovani. (Francesco Enrico Gentile)

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“Senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari, si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”.

Di chi sono queste parole? Di un pericoloso sovversivo? Di un tardivo sostenitore del socialismo utopista? Dalla reincarnazione di Pierre-Joseph Proudhon?

È forse tratto dalle tesi dell’ultimo congresso dei comunisti-utopisti-radicali e anarco-sindacalisti riuniti per l’occasione all’ombra del mausoleo di Vladimir Ilic Lenin sulla piazza Rossa a Mosca?

Ebbene no. Sono le parole pronunciate da Mario Draghi, Governatore della Banca di Italia, in occasione di un suo incontro all’Università di Ancona. Certo si potrebbe pensare che il buon Draghi sia stato improvvisamente folgorato sulla strada luminosa del socialismo reale, dopo aver ricevuto in sogno la visita di Rosa Luxemburg.

Detta così, ci aiuterebbe a capire perché tutti, fino ad arrivare alla più alta Istituzione economica del Paese si siano resi conto dell’esistenza del dramma precarietà. Tutti tranne la politica e l’impresa.

E invece no. Mario Draghi ha semplicemente fotografato in maniera lucida, seppur tardiva, a quale livello di allarme sia arrivato il dramma precarietà nel Bel Paese.

Tardivamente, forse troppo tardivamente, comincia ad affiorare dalla palude in cui è oramai immersa da tempo l’Italia la consapevolezza che si sta dilapidando un patrimonio inestimabile di energie, saperi, formazione che risiede nelle giovani generazioni italiane.

Da anni oramai viene ripetuto il mantra,quasi divenuto ipnotico, che recita: “le imprese hanno bisogno di maggiore flessibilità, di ridurre il costo di lavoro, per meglio competere con il mercato globalizzato.”

E così di mantra in mantra, di flessibilità in flessibilità, di riduzione in riduzione si è , come si suol dire, raggiunto il fondo del barile.

Si è scoperto, con il tempo, che la maggiore competitività del “sistema Paese” non passava affatto per la riduzione delle condizioni di stabilità ne tantomeno per un livellamento, verso il basso delle condizioni salariali.

Il mercato globale, il frutto della famosa “globalizzazione” di cui tanti parlano ma di cui quasi nessuno degli attori economici ne capisce realmente qualcosa, ci ha dimostrato come sia l’innovazione il “fattore produttivo” da massimizzare e non, come è invece accaduto, il grado selvaggio delle precarizzazione dei rapporti di lavoro.

Mentre la politica impegnava il suo tempo ad allungare la lista di tipologie contrattuali, è cresciuta in questo paese una generazione alla quale stanno letteralmente sottraendo, un pezzo alla volta, pezzi di futuro.

L’aspetto grottesco della vicenda è che si tratta dello stesso pezzo di tessuto sociale su cui, questo stesso Paese, ha investito in termine di formazione, di istruzione.

Una massa di giovani quindi, pronta per il mercato del lavoro, qualificata, piena di energia è letteralmente lasciata ferma, a marcire, a spartirsi le briciole di contratti a tre mesi, di stage fittizzi, di finti contratti di formazione.

Prima ancora che un tema di carattere economico o politico, il dramma precarietà è sempre più un tema di carattere civile.

Le migliaia di giovani privati della possibilità di immaginare il proprio futuro oltre i tre mesi del contratto che un illuminato imprenditore gli concede costituisco l’emblema più lampante del fallimento dell’Italia come Comunità nazionale.

In luogo del profitto a brevissimo termine, utile a finanziare stili e modi di vita integralmente tesi a nutrire il demone dell’apparire, larga parte del ceto imprenditoriale italiano ha scelto, deliberatamente, di trasformare quella che poteva essere, se normata, un’opportunità, ovvero la flessibilità, in una gabbia le cui sbarre si fanno sempre più strette.

Conseguenze? L’economia italiana esporta sempre meno, sempre minore è la sua capacità di travalicare i confini del mercato nazionale, e un pezzo di futuro è forse irrimediabilmente compromesso.

Qualcuno potrebbe dire “Beh per esserci tanti contratti vuol dire che ci sono i giovani che li firmano, che li accettano. E dove sono, perché non si lamentano o protestano”.

Effettivamente l’obiezione ha un suo fondamento.

È evidente che in questi anni c’è stata una apatia diffusa che sempre più a penetrato larghi strati dell’universo giovanile.

Un’apatia molto spesso colpevole, oltre che miopie visto il livello a cui siamo scesi.

Il 9 aprile , per la prima volta in Italia, ci sarà una manifestazione dei precari italiani. Una novità assoluta soprattutto per la composizione dei promotori.

Nessun partito politico, nessuna sigla sindacale. Solo giovani , liberi e indipendenti.

Per la prima volta le nuove generazioni cominciano ad immaginarsi come soggetto collettivo, in grado di rivendicare diritti e doveri guardando insieme all’interesse nazionale.

Una buona notizia quindi per il tessuto civico e sociale per il nostro paese.

Svegli dal torpore, ai giovani italiani non resta altro da fare che mettere la propria forza al servizio del Paese, che ci si augura si accorga un giorno della miniera d’oro che sta lasciando ammuffire.

Per info: www.ilnostrotempoeadesso.it