Zuccotti Park, Stati Uniti: arrivano gli indignados d’oltre-oceano

di Francesco Gentile

Anche negli Stati Uniti arriva l’onda della partecipazione e della protesta. E il salotto economico del mondo si trasforma nella nuova Piazza Tahir. (Francesco Enrico Gentile)

adbusters_97_occupy-wall-street_s Tutto è iniziato a Piazza Tahir, lontano Egitto, lo scorso febbraio. Lentamente altre piazze hanno cominciato a riempirsi, poco alla volta. Dopo l’Egitto, la Libia, poi la Spagna e ora è arrivato il momento degli Stati Uniti.

Quasi per uno scherzo del destino, in barba alla teoria di George Bush che attribuiva all’America il ruolo di esportatore di democrazia, il contagio ha raggiunto il cuore della finanza mondiale: Wall Street.

In un crescendo di partecipazione e mobilitazione civica Zuccotti Park, la piazza vicina alla Borsa statunitense è andata riempiendosi, giorno dopo giorno.

Giovani, anziani, latinos, afroamericani hanno un po’ alla volta trasformato un luogo di passeggio di rampanti broker in carriera in un laboratorio permanente di partecipazione e di protesta.

“Occupy Wall Street”, questo è il nome che si sono dati gli “indignados” americani, sta conoscendo, parallelamente al crescere delle adesioni, una trasformazione rapida della sua stessa struttura.

Nato come un piccolo nucleo di poche decine di persone, organizzate in una struttura esclusivamente orizzontale, ora si contano circa trenta diversi gruppi impegnati su tutto, dalla gestione delle norme igienico-sanitarie alla discussione su lavoro e politica fiscale.

Le rivendicazioni di Occupy Wall Street sono, al momento, molto schematiche e nel complesso ancora acerbo. Lo schema secondo cui basti “terminare la guerra e tassare i ricchi” per rovesciare un mondo in cui “i cittadini falliscono e le banche vengono salvate”è palesemente ancora soft, leggero, seppur radicale.

È proprio la radicalità del messaggio, e il carattere esclusivamente spontaneo della protesta ad aver disorientato in una prima fase i commentatori politici di mezzo mondo.

Come dice in un’intervista al Washington Post David Graeber, uno degli organizzatori della protesta, “Lo scetticismo della stampa è evidente: è solo un gruppo di ragazzi che non conosce l’economia e sa solo dirti qual è il nemico. Ma c’è una ragione per questo. È, per cosi dire una condizione pre-figurativa. Stanno creando in miniatura la visione del tipo di società che vorrebbero.”.

Barack Obama, invece, ha fiutato subito il valore intrinseco della mobilitazione. Con il cinismo proprio dei grandi animali politici, ha colto la possibilità di proporsi come interlocutore diretto del movimento.

Dopo gli scontri seguiti alla marcia del 5 ottobre, le parole di oggi di Barack Obama suono ancora più forti e decise.

“E' la voce degli americani frustrati dal funzionamento delle strutture economiche e finanziarie di questo paese", ha detto Obama, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca.

Cosa vogliono quindi gli indignados di America non è ancora ben chiaro, ma di certo l’arrivo, nella patria del capitalismo liberista, della nuova ondata di protesta e di voglia di protagonismo dei cittadini è un evento destinato a modificare i rapporti di forza tra finanza capitale e cittadini.{jcomments on}