Roma, 15 ottobre: la violenza offusca la partecipazione

di Francesco Gentile

1000 teppisti rovinano l’ingente mobilitazione giovanile , ferendo la città di Roma e riportando l’Italia indietro di 30 anni. (Francesco Enrico Gentile)

fonte_fotogramma

Sono passati già due giorni dalla manifestazione del 15 ottobre a Roma, tristemente nota per gli scontri che hanno rovinato quello che aveva tutti i caratteri per essere una momento cruciale per la vita democratica del Paese.

Il tempo trascorso tuttavia sembra non essere stato sufficiente a riportare nel Paese la calma necessaria per riflettere su ciò che è accaduto, sulle conseguenze e sugli scenari futuri non solo del Movimento degli Indignados ma della vita democratica dell’Italia.

Innanzitutto i fatti, che come sempre raccontano sempre bene, e meglio, la realtà nelle sue più crude e tristi sfaccettature.

Circa 300.000 giovani in un’assolata mattinata di ottobre hanno sfilato per le strade della Capitale nell’ambito della “United Global Change”, la mobilitazione giovanile contro la crisi organizzata in più di 951 città in più di 82 nazioni nel mondo.

Sono circa le 14 quando si verificano i primi momenti di tensione: circa 300 incappucciati, epigoni del Black Block che ebbe il suo momento di demente notorietà al G8 di Genova, sfasciano vetrine, bruciano bandiere, assaltano bancomat lungo Via Cavour, nelle fasi iniziali del corteo che nelle intenzioni degli organizzatori deve giungere a P.za San Giovanni dove è prevista un’assemblea finale.

Seguendo ordini provenienti dalla Sala Operativa della Questura le forze dell’ordine presenti, ma impegnate a far rispettare rigorosamente il percorso prestabilito e a difendere il quadrilatero dei Palazzi della politica e delle Istituzioni, decidono di lasciar correre.

L’assenza di reazioni da parte della Polizia e dei Carabinieri presenti non impedisce però alla componente pacifica del corteo, ultramaggioritaria, di intervenire nel tentativo di scacciare gli incappucciati dal corteo e impedire ulteriori violenze.

Giunti a Via Labicana in presenza di ulteriori scontri e violenze la Polizia e i Carabinieri scelgono di intervenire, spezzando il Corteo nel tentativo di isolare i “neri” che nel frattempo aumentano pericolosamente di numero.

Gli scontri proseguono fino a tarda sera quando, finalmente, le forze dell’ordine riescono ad impossessarsi di Piazza S. Giovanni, dopo aver a lungo fronteggiato il tentativo della frangia violenta della manifestazione di continuare, finché possibile, gli scontri.

A Via Labicana  quindi si spegne il tentativo italiano di manifestare contro la crisi e le ricette economiche ritenute ingiuste; mentre nel resto del mondo, da Times Square ad Hide Park, centinaia di migliaia di giovani, precari, pensionati, cittadini comuni nelle loro lingue gridano la loro contrarietà alla via neo-liberista di risoluzione della crisi economica internazionale, in Italia si ritorna tutto d’un tratto agli anni ’70 , alle violenze di piazza, ai manganelli e alle spranghe.

Quasi come se il destino di questa nostra nazione  fosse di affondare nella palude che blocca tutto ciò che può riportare speranza, partecipazione, vitalità politica e civile, anche il Movimento degli Indignados rischia di aver bruciato nelle strade di Roma il patrimonio di simpatia e sostegno che aveva conquistato nei giorni precedenti la manifestazione.

E pensare che proprio la mattina del sabato Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia , individuato dal Movimento come uno dei vertici della “cupola tecnocratica” colpevole della crisi, aveva dichiarato la necessità di ascoltare le ragioni dei giovani che si preparavano a sfilare affermando ““I giovani se la prendono con la finanza come capro espiatorio, li capisco, hanno aspettato tanto: noi all’età loro non l’abbiamo fatto”.

A due giorni dagli scontri, quando Roma vigliaccamente ferita da un branco di violenti prova a rimettere a posto i danni, sono tante le domande e le riflessioni che si pongono la politica e soprattutto i giovani del movimento.

Mentre una parte della politica invoca le leggi speciali, ricomincia il balletto ridicolo dell’accusarsi a vicenda tra i poli e il Sindaco di Roma con un’ordinanza vieta i cortei nella capitale, resta alto il rischio di un riflusso della partecipazione dei giovani che di certo non farebbe bene al Paese.

Al movimento spetta il compito di fornire risposte convincenti sulla reale volontà di rendere inagibili i loro spazi di discussione e di mobilitazioni ai violenti e ai teppisti; alla Politica il compito, arduo, di non cadere nella facile tentazione di fornire una risposta solo “legalitaria” ad un’ansia di cambiamento e di protagonismo che le spranghe , le molotov e i sampietrini hanno violentato.

(foto: fotogramma){jcomments on}